Bentornato Luca su Liberi di scrivere. Ci siamo lasciati nel 2012 con L’uomo nero e ci ritroviamo nel 2014 con Nel posto sbagliato, appena uscito per E/O nella collana Sabotage. Cosa è successo in questi anni? Cosa è cambiato?
Bentrovata Giulietta, è successo che ho scritto due romanzi, uno dei quali per l’appunto è quello di cui parliamo oggi, una commedia per il cinema e ho lavorato a un progetto per una serie tv.
Nel posto sbagliato è un romanzo che si presta a diverse analisi, a diversi piani di lettura. Per un recensore, che ha modo di intervistare l’autore, insomma è un piccolo scrigno di significati.Iniziamo dalla tua nuova visione del noir. Unisci noir e fantascienza, un connubio piuttosto insolito. Nella mia recensione avvicino il tuo romanzo ad un celebre racconto di un grande come Philip K. Dick. Perché ritieni che questa forma di noir sia così insolita?
Per quanto riguarda il perché della mia scelta è presto detto, io parto sempre dalla storia. Mi premeva raccontare questa storia e toccare certi temi, ho semplicemente adoperato quelli che secondo me erano gli strumenti narrativi più adeguati. Allargando il discorso all’attuale panorama editoriale italiano sono d’accordo con te che la strada che ho intrapreso non è la più battuta, e in un momento di crisi sono pochi quelli che hanno voglia di abbandonare le proprie confortanti certezze.
La fantascienza è stata usata per lo meno da autori come Azimov, Ray Bradbury, John Wyndham, per parlarci del presente, e fungere da sentinella, avvisandoci dei mali che il futuro ci potrebbe portare. Anche tu hai usato questo genere ibrido con questo scopo? C’è un messaggio chiaro sotteso al racconto?
Io sento un pericolo, avverto la netta percezione che dal Patriot Act in poi nel mondo occidentale si è deciso, o si è iniziato a decidere, che la privacy e i diritti civili del singolo possono essere sacrificati sull’altare della sicurezza collettiva. Una china molto pericolosa, dal mio punto di vista.
Io parlo di fantascienza, forse altri potrebbero classificare il tuo romanzo come un romanzo distopico. Infondo narra di una realtà alternativa, ma diciamo contemporanea. Non ci sono robot, astronavi, case con elettrodomestici avveniristici. In che anno è ambientato Nel posto sbagliato? Come preferisci venga classificato?
L’attentato alla stazione che dà il là alla storia avviene il 28 maggio del 2013 (quando finite di leggere il romanzo, non prima, inserite questa data su google, solo mese e giorno, potreste avere una sorpresa). Il termine distopico lo trovo calzante, ma io preferisco andare oltre, più che di una realtà alternativa io parlerei di un presente negato, di un qualcosa che sta già accadendo, ora e qui. Magari non nel modo che ho immaginato io, ma in quella precisa direzione. Facciamo un esempio su tutti: Wikileaks. Se qualcuno spia le mail di Angela Merkel a sua insaputa credete che si farebbero problemi a fare anche di peggio con noi?
A cosa si riferisce il titolo, quale è il posto sbagliato?
Il posto sbagliato può essere un qualsiasi luogo legato a un delitto. Ciò che lo rende pericoloso per chiunque vi si trovi non è però la presenza del criminale, bensì di chi gli dà la caccia. Una squadra speciale di polizia che si serve dell’ipnosi per utilizzare ignari cittadini (che loro chiamano POV) come fossero telecamere di videosorveglianza, invadendone la privacy e calpestandone i più elementari diritti civili.
Protagonista assoluto è senz’altro il commissario Vincent Tripaldi. Come hai costruito questo personaggio?
Volevo un commissario che seguisse un fine giusto (o apparentemente giusto), ma per i motivi sbagliati. Un uomo determinato nella propria ricerca dell’affermazione, del successo, del potere, ma che avesse anche un doppiofondo, una crepa, un’umanità malata, guasta. Vincent è un uomo solo con due serpenti nel terrario. L’asfissiante rapporto col fratello gemello ne ha segnato l’esistenza, rendendolo un misantropo che vive ogni tipo di rapporto sociale con fastidio e diffidenza.
Utilizzi molti colpi di scena, il più decisivo pressappoco a metà romanzo quando Vincent spara al terraio e libera i due serpenti, uno innocuo, uno velenoso. Ne uccide uno, non sappiamo quale dei due, e poi viene morso. Insomma per un attimo la storia potrebbe finire così, con la morte del protagonista. Ma vediamo bene che abbiamo molte altre pagine prima della fine. Questo comunque è solo uno dei colpi di scena, e di solito sono concentrati tutti sul finale, almeno i più determinanti. Perché questa scelta invece?
Ti posso fare i complimenti per la domanda o sembro ruffiano? Oramai te li ho fatti, amen. Hai colto nel segno, quello è un finto colpo di scena, qualsiasi lettore meno che scafato capisce che il protagonista non può morire a 80 pagine dalla fine del libro. A me quella scena, mi piace definirla così, tra l’altro è una delle mie preferite, serve a spiegare con un’azione reale e simbolica al tempo stesso lo stato in cui versa il mio protagonista. Vincent ha raggiunto un punto di rottura.
All’apparenza dunque è un romanzo poliziesco. C’è una squadra investigativa, un po’ avveniristica, (utilizza una macchina che trasforma in ologrammi i ricordi delle persone che si sono trovate anche per caso in un luogo dove è avvenuto un omicidio, una strage,) ci sono varie indagini, si cercheranno vari colpevoli. Se questa dicevo è l’apparenza, la realtà quale è?
In realtà parlo del potere, di quanto ne si possa dare in mano a delle persone, se sia giusto delegare ad altri decisioni che possano segnare così profondamente le nostre esistenze. E, in ultima analisi, anche fossimo disposti a farlo, dell’uso che realmente verrebbe fatto di questo potere. Chi controllerebbe il controllore?
I pov vengono prelevati arbitrariamente, si scava nelle loro mento senza il loro consenso, violando i più basilari diritti civili, in nome della giustizia. I pov vengono individuati monitorando i cellulari di tutta la popolazione, ogni giorno in ogni momento. Pensi che sia questo il futuro che ci aspetta? Pensiamo solo ai social network. Verranno violati sempre più di diritti dei cittadini, primo tra questi quello alla privacy, in nome della cosiddetta sicurezza?
Proprio oggi è andata in onda una mia intervista al TG1, quando la registrai un paio di settimane fa Bruno Luverà mi disse riguardo al mio romanzo “la cosa più inquietante è che è tutto tremendamente più realistico di quanto possa sembrare”. Faccio mie le sue parole per risponderti.
La componente noir è principalmente legata alla nebbia un po’ oscura che attraversa tutto il romanzo. L’animo umano è molto noir. Per molti versi non c’è grande spazio per rassicuranti certezze, per il classico lieto fine. Come affronti nei tuoi libri l’animo noir che c’è in tutti noi?
L’essere umano che conosco meglio sono io, e sono certo che in me coabitano pulsioni nobili e orripilanti, come so che il male è capace di spaventarmi e affascinarmi al tempo stesso. Questo fa di me un uomo ambiguo, ma io vivo nella convinzione che l’ambiguità, intesa come non certezza, non classificabilità, niente lavagna dei buoni e dei cattivi, sia alla base di qualsiasi essere umano. Siamo tutti uguali? No, siamo tutti diversamente ambigui, questo per me è il noir.
La manipolazione della mente umana è un altro tema da te trattato. Parli di ipnosi, di messaggi subliminali. Tramite l’ipnosi si può indurre qualcuno al suicidio, o all’omicidio. Come ci si può difendere dall’uso distorto di queste tecniche mentali?
Premesso che quello dell’ipnosi è un mondo molto complesso in cui non esiste una verità univoca, detto ciò io mi sono documentato molto per scrivere questa storia, per cercare, nel limite del possibile di essere aderente alla realtà, o in secondo luogo al realistico. Nel romanzo ci sono delle indubbie forzature narrative, non ho mai voluto scrivere un saggio. Comunque l’inconscio è un territorio tanto misterioso quanto pericoloso, e ci sono soggetti particolarmente portati a essere manipolati, plagiati.
Nel tuo romanzo il tema della sicurezza viene utilizzato come un’arma politica determinante. C’è un premier e il suo antagonista che si combattono una guerra silenziosa, e senza regole. Il tuo scritto nasconde una analisi anche del sistema politico attuale?
Questa è stata un’altra sfida che ho deciso di accettare scrivendo questo romanzo, cercare di fondere distopia e realpolitik. Giocare su un piano narrativo a un livello globale, che riguarda tanto noi quanto qualsiasi altro stato occidentale, e su un altro, che fa quasi da corollario alla storia, ritornare su un vissuto, presente e passato, che è drammaticamente italiano, più che di altri paesi.
Sei tradotto all’estero. Cosa ci puoi dirci di questa esperienza? Fai tour letterari all’estero? Partecipi a conferenze, fiere, presentazioni? Come vedono l’Italia all’estero, per lo meno come vedono la cultura e la letteratura italiana?
Sono tradotto al momento solo in Francia, seppure con un editore molto importante, e per ora con un solo romanzo, la versione francese deL’uomo nero uscirà a Febbraio. Non sono stato ancora invitato a presentare il mio lavoro in Francia, ma il primo romanzo è andato bene e probabilmente accadrà col secondo. Posso dire che, malgrado la fama di sciovinisti che li accompagna, i francesi sono molto attenti alla letteratura di genere prodotta in Italia.
Bene l’intervista è finita, nel ringraziarti mi piacerebbe ancora chiederti quali sono i tuoi progetti per il futuro. Hai già in mente le trame dei tuoi prossimi libri?
Ho piuttosto chiari i seguiti tanto di Nel posto sbagliato che dell’altro romanzo che ho già terminato. Però prima di rigettarmi nella narrativa vorrei, almeno per qualche mese, dedicarmi a dei progetti per la serialità televisiva, è una sfida che mi affascina.