Triangolo politico
Autore: Mario Fortunato
Testata: L'Espresso
Data: 18 settembre 2014
Senza dubbio, "Democracy" di Joan Didion (e/o, traduzione di Rossella Bernascone, pp. 206, € 16,50) è il libro migliore della scrittrice americana (classe 1934), come ha osservato tempo addietro Edoardo Nesi. Non che Didion non abbia prodotto altri testi a loro modo memorabili - per esempio i suoi memoir "L'anno del pensiero magico" e "Blue Nights", ma in "Democracy", che è del 1984, credo abbia saldato al meglio la sua vocazione di grande giornalista con la vena narrativa, mettendo insieme tecniche e linguaggi fino ad allora rimasti separati. Il romanzo racconta un triangolo esistenziale tra la fascinosa e inquieta Inez Victor, suo marito Harry, senatore USA e Jack Lovett, che probabilmente è una spia. La vicenda si svolge negli anni Settanta, e la politica internazionale fa da sfondo a una narrazione che cambia di continuo punto di vista, come in un montaggio cinematografico il cui filo conduttore sono i pensieri e i gesti della protagonista, ma sempre inquadrati di sbieco, o a rovescio, quasi che la cronaca debba invadere la scena o che il romanzo debba sfrangiarsi dentro alla realtà del tempo.
Didion è stata una delle più riconosciute esponenti del cosiddetto New Journalism, che programmaticamente mescolava il punto di vista dell'osservatore con la verità osservata. Ecco, a me pare che "Democracy" ne sia stato il pinto più alto di realizzazione, grazie a una scrittura che è fredda e documentaristica, ma insieme incandescente e soggettiva. Purtroppo non ha fatto scuola e oggi lo leggiamo come l'esperimento generoso di una stagione letteraria rimasta sfortunatamente celibe.