RIVELARE LA PAURA
Autore: Maria Vittoria Adami
Testata: L'Arena
Data: 18 settembre 2014
L’orrore della guerra, quello velato dalla propaganda, emerge nel testo di Federico De Roberto che oggi debutta a teatro
C'era la guerra idealizzata dagli intellettuali, tra velleità di palingenesi e paternalismi. Poi ci fu la guerra vera, l’orrore. Quest’ultima è narrata da voci del popolo, in una girandola di dialetti, nel libro La Paura di Federico De Roberto (Napoli 1861-Catania 1927), prosatore verista, più famoso per I vicerè, amico di Capuana e Verga. Pubblicato nel 1921, il racconto è stato pubblicato quest'anno dalla Edizioni E/O e stasera sarà messo in sce-
na, in anteprima assoluta, al festival Pordenonelegge, nell'ambito di «Parole in scena». Arca Azzurra Teatro lo proporrà al teatro Verdi di Pordenone, nella versione adattata da Daniela Nicosia e affidata al monologo dell'attore Massimo Salvianti.
La paura è il più crudo dei racconti che De Roberto dedicò alla Grande guerra, deponendo le posizioni di interventismo moderato, vicine all' intellettualità democratico-riformista nella Catania del pedagogista Giuseppe Lombardo Radice e del socialista Giuseppe De Felice Giuffrida, e lanciando un grido di rabbia e di protesta davanti all'«orrore della guerra». La retorica del conflitto come rinascita cade sotto la prosa di questa storia semplice, narrazione dello stillicidio di un gruppo di soldati guidati dal sensibile e intellettuale tenente Alfani, arroccato coi suoi uomini su un inospitale costone delle Alpi Venete. Dalla trincea, Alfani manda fuori i suoi uomini uno alla volta, per raggiungere un posto di vedetta sguarnito. E uno alla volta i suoi uomini muoiono. Col numero dei morti cresce anche la paura dei vivi: la paura di morire e di impartire la morte. Il panico è raccontato dai dialetti regionali dei soldati, spaccato di un'Italia che si scopre in trincea nella sua multiculturalità. Sono gli uomini di Lussu sull'altipiano, sono gli alpini di Jahier. I sol-
dati del tenente Alfani, sotto il tiro infallibile di un cecchino austriaco, sono i fanti italiani bloccati nella guerra stagnante di trincea, nella quale marciscono o vanno al massacro. La scena apre sulla «porta dell'Inferno», come la chiama De Roberto, che definì la guerra descrivendo l'asperità degli spazi che occupò: «Nell'orrore della guerra l'orrore della natura: la desolazione della Valgrebbana, le ferree scaglie del Montemolon, le cuti delle due Grise, la forca del Palalto e del Palbasso, i precipizii della Fòlpola. Non una macchia d'albero, non un filo d'erba tranne che nel fondo delle vallate». Le parole taglienti per incorniciare la natura dicono già che non c'è scampo per quei soldati tra il «caotico cumulo di rupi e di sassi, l'ossatura della terra messa a nudo, scarnificata». Eppure in quelle trincee scavate nel «vivo masso» a furia di mine, dove l'acqua mancava e veniva trasportata «a schiena di mulo», «i soldati s'erano accomodati anche lì e non parevano starci di peggio umore che altrove». Qui il tenente Alfani li guardava, mandandoli fuori uno a uno, «tanto nauseato in quella tana oscura e fetida, tanto stanco di quel servizio regolare e monotono, tanto logoro da quella vita da castoro, tra sasso e guazzo».
Il volume della E/O contiene altri racconti di guerra, scritti tra il 1919 e il 1923, dove eroi pentiti o traditi, antieroi esecrabili o spassosi raccontano una guerra lontana dal primo De Roberto, collaboratore del Giornale d'Italia militante sul fronte della destra anti-giolittiana e per il quale scrisse molti articoli sulla guerra, di diverso tenore. Ma pian piano lo scrittore si allontanò dalla mitologia interventista e dai tentativi di estetizzazione di un conflitto che finì col definire «orrendo», appunto, come le prime parole che aprono La paura.
La guerra del 1915 si rivelò ben presto tutt'altra cosa dallo strumento di rinascita in contrapposizione al trasformismo giolittiano, che avevano auspicato molti intellettuali italiani, dai vociani ai futuristi, dai nazionalisti agli interventisti democratici. La paura ne è una denuncia implacabile e un'accusa agli orrori di un conflitto combattuto in una natura altrettanto aspra e impervia, scenario di vani eroismi, dove le parole chiave sono pietà e orrore. De Roberto dàvoceachineèprivoinun testo forse tra i più toccanti ed efficaci sulla Grande guerra, che concentra i grandi temi aperti dal conflitto in Italia: le implicazioni sociali, l'impatto sulla società, le diversità geografico-linguistiche, le disparità di ceto, i rapporti tra gerarchie militari e soldati semplici. Il valore del testo è confermato dalla scelta di Radio3 di leggerlo integralmente in onda, in queste settimane, per voce dell'attore Pierfrancesco Favino. E stasera, il debutto al teatro pordenonese. «Il tenente Alfani», spiega la regista Daniela Nicosia, «ci fa dono della sua umana fragilità e disillusione nello sgretolarsi di ogni mito, di ogni ideale eroico, di fronte all’evidente portato di insensatezza di ogni guerra. Mette in discussione la necessità di obbedire “agli eroi da poltrona”, agli ordini assurdi che condannano giovani a morire senza possibilità di appello. La certezza della morte li invade, l'umana paura, seppur attraverso mutevoli approcci a quell'indiscusso gesto d'obbedienza, si rivela così quale vera protagonista della novella. La paura è un antiretorico concerto pluridialettale, libera le voci dell'umanità sofferente, rendendole più vivide e toccanti. Ed espressione di quell'Italia degli umili, frammentata nel gergo, nell’inflessione e unita nel dolore, nel sacrificio estremo».