Il giallo senza eroe di Carlotto e Videtta: un mondo che nasce sulla tomba delle Tre Venezie, quella società (casa, famiglia, chiesa...) è morta nel sacrificio, ora tutto è marcio e spuntano i mostri.
CHI comincia questo libro lo finisce, non lo lascia a metà, e chi finisce questo libro lo ricorda, non gli esce dalla testa. Ma non ricorda un personaggio, una trama, un episodio. Non è un romanzo su qualche singolo o qualche singolarità. E' un romanzo su una società, una civiltà, o meglio su una società senza civiltà, una società priva di legge, di stato, di religione, e soprattutto di famiglia. Comincia con un delitto e finisce con la scoperta dell'assassino. L'assassino è il meno sospettabile di tutti, e nessun lettore, una riga prima della scoperta, c'era arrivato. Questo è il pregio e il limite del libro. «Noir» sta scritto in copertina, ma quel noir non definisce una storia, una vita, un'azione, ma la storia, la vita, la situazione del Nordest: il Nordest del titolo è il nome dell'assassino. Dicendo che è un giallo senza eroe, indico una caratteristica non di Carlotto e, qui, Videtta, ma di tutta la letteratura del Nordest. Sgorlon non ha eroe, ha favole, epica, fede. Meneghello non ha personaggi, ha simboli o archetipi. Rigoni Stern, che racconta un'impresa eroica, che resterà nei tempi dei tempi, non staglia in quell'impresa un combattente ma un esercito o un reparto, gli Alpini. Non so se sto indicando un limite, non vorrei sembrare offensivo. Se corro questo rischio, non escludo dagli accusati me stesso: nei romanzi veneti so bene di aver messo come protagonista una comunità e mai un uomo. Con un personaggio collettivo acquisti in denuncia (qui, in Carlotto-Videtta, terribile, onnicomprensiva) e, a mio parere, in verità (qui è tutto vero, ma è tutto sconosciuto, questo libro è la rivelazione di un mistero epocale e sociale), ma perdi in psicologia. Carlotto e Videtta non presuppongono nessuno degli scrittori veneti che ho citato prima. Piuttosto, sentono Stella, Gian Antonio. A monte di questo Nordest, se c'è un libro, è Schei. Il Nordest in passato era un inferno, da quell'inferno salivano anche preghiere, e Sgorlon le ha sentite; voci e litanie e invocazioni simboliche, e Meneghello le ha analizzate; gli uomini erano sottouomini, animali o diavoli, e ho tentato di descriverli; il tempo degli «schei» segna uno stacco assoluto, non c'è un'evoluzione che abbia portato da quegli sottouomini a questi padroni. Schei di Stella è il racconto corale e orgiastico di un paradiso trionfante in cui non c'è nessuna memoria dell'inferno precedente. Dice Balzac che a monte di ogni fortuna c'è un delitto. Stella dice il contrario, che la fortuna discende da un merito, se il lavoro è merito. Qui Carlotto e Videtta dicono una cosa ancora diversa, e cioè che «a valle» di ogni fortuna c'è un delitto: il Nordest non è le Tre Venezie, nasce sulla tomba delle Tre Venezie, quella società (casa, famiglia, chiesa, vecchi, lavoro, risparmio, emigrazione) è morta nel sacrificio, la nuova società opulenta non ha ereditato o recuperato nessun valore, tutto è marcio, e in questo marciume i mostri spuntano a colonie come i funghi. La vittima del delitto, in questo romanzo, l'annegata, aveva la sua sregolatezza, anzi le sue sregolatezze: stava per sposarsi, ma non è la prossima donna di un uomo, è ancora donna di molti uomini. Sospetto pesante: l'assassino può essere quello che stava per sposarla. In fondo, ha fatto sesso con lei un attimo prima di farla fuori. Sospetto più pesante: lui pensa che a ucciderla sia stato l'altro mancato marito, e che lui se la sia fatta prima di farla fuori. La soluzione è più atroce ancora: si scoprirà un assassino che annegandola nella vasca da bagno ha violato non solo la famiglia nascente, ma anche la sua propria famiglia e altre famiglie. Non è un giallo, è un groviglio di gialli. C'è anche il giallo del Matto. Del rumeno, anzi dei rumeni. Della contessa. Dello smaltitore di rifiuti. Della banda del Cherokee, e del capo banda. Di sua madre. Tutti sono possibili o reali assassini. Uno vale l'altro, le vite, i ruoli, le avventure, sono intercambiabili. Sono tutti gialli identitari: nessun personaggio è quello che è, ognuno è un altro, identitariamente. E' il Nordest che non è quello che è, non viene da dove viene. E' l'Italia. E' la Romania. E' il mondo. Un caos in cui tutti vanno, senza bussola, in tutte le direzioni. Dall'estero vengono qui, da qui vanno all'estero, o come si dice delocalizzano. La delocalizzazione è la fuga dalla città che brucia, come Troia: chi scappa porta con sé il suo dio. Qui il dio è il denaro. I nordestini che vanno in Romania portano con sé la loro malattia. Vanno a infettare il mondo. Con questa grandezza e questi limiti, ecco qui la cartella clinica dell'infezione.