Intervista sul Papa, l’eutanasia e Elisir d’amore (e/o)
Il libro sull’amicizia (im)possibile tra due ex amanti
L'amore, nel nuovo libro di Eric Emmanuel Schmitt, è un mistero da coltivare come i fedeli coltivano l’esistenza di Dio. Credendoci, impegnandosi e, se serve, tradendo. O fingendo di tradire. È una scommessa conveniente, direbbe Pascal. Il libro di Schmitt si intitola Elisir d’amore (editore e/o) e mette godibilmente in scena la corrispondenza mail di due antichi amanti, Adam e Louise, che provano, o fingono di provare, a restare amici. È possibile? Se uno di loro ci ripensa? Esiste un elisir d’amore? Sì, ci dice l’autore (nato a Sainte-Foy-lès Lyon nel 1960, vive a Bruxelles), scrittore in lingua francese tra i più tradotti e rappresentati al mondo. Ecco qualche titolo tra teatro, letteratura e cinema: Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano, Piccoli crimini coniugali, Il vangelo secondo Pilato, Quando penso che Beethoven è morto mentre tanti cretini ancora vivono..., La giostra del piacere.
Lo incontriamo a Roma, all’inizio dell’estate, in un hotel vicino a piazza della Minerva, dove grazie alla regia del Bernini, un elefante di marmo (solidità d’intelletto) sorregge un obelisco egizio (sapienza antica). Schmitt ci ha parlato del libro e di sé, di religione, di amore e scrittura, una scrittura elefantiaca; e di come i traumi siano gravidi di conseguenze: la morte della nonna, «morta di dolore», per esempio l’ha convinto della legittimità dell’eutanasia; il furto del pc con dentro un lavoro di 7 anni, invece, l’ha reso più sicuro del suo talento: «Una benedizione! » dice sgranando gli occhi, che altre volte strizza, a inarcare il sorriso fin sopra le gote, arrosate dal sole, sulla pelle resa più scura dalla camicia chiara, come una rosa bianca. Ha una voce fine, persistente quando i suoni, nel naso largo, sembrano barrire, lievi.
Leggendo Elisir d’amore vien da credere più alle pozioni magiche d’amore che all’amicizia tra uomo e donna. È così?
«In ogni epoca ci sono stati filtri o altri metodi per conquistare l’amore di qualcuno. E non hanno mai funzionato. Però nel XXI secolo un modo c’è, la cura psicanalitica, in particolare il transfert. Questa l’idea del romanzo, che poi ho complicato il più possibile, mettendo in scena due ex amanti, Adam e Louise, che provano a restare amici».
Nei siti d’incontri gli algoritmi calcolano le affinità tra persone. Poco poetico, ma funziona. Sono i nuovi Cupido?
«Io non ci credo. L’amore resta un mistero. Amare non è conoscere, né possedere, ma preferire un essere sopra tutti gli altri. In modo ossessivo. Amare è una frequentazione assidua di un mistero. Ogni essere umano è un mistero insondabile e impenetrabile. Gli algoritmi non possono svelarlo».
Lei mostra l’amore come manipolazione, di sé e degli altri, e scommessa, conveniente. Come il Dio di Pascal. Ci crede?
«Sì. Pascal ha ragione, l’amore è una buona scommessa. Spetta a noi farlo esistere, come facciamo esistere Dio credendoci. Questo libro è una mescolanza di quel misticismo e di libertinaggio, che riguarda la saggezza amorosa: Adam e Louise sanno di essere ciascuno molto importante per l’altro ma di non poter essere tutto l’uno per l’altro. Lei accetta che lui abbia visto, desiderato altre donne, lui riconosce il profondo attaccamento a lei e lo trova insopportabile, un maschilista ».
In Piccoli crimini coniugali il matrimonio è un’associazione a delinquere. In Elisir d’amore, un compromesso. Perché ha depenalizzato il reato?
«Non amo il matrimonio... per motivi romantici. Mi piace la mattina svegliarmi accanto a una persona perché la amo non perché siamo prima passati dal parroco o dal sindaco. E io lo faccio da 25 anni, con la stessa persona. Prima ero sposato, un disastro».
In Francia ci sono stati scontri sul matrimonio tra omosessuali. Cosa ne pensa?
«Sono a favore, ma da cristiano. Occorre distinguere sessualità e impegno amoroso: la prima è ricerca del piacere, per cui si può cambiare partner quando si vuole, l’impegno amoroso invece va garantito a tutti».
Lei vive in Belgio, Paese favorevole all’eutanasia. Anche per i minorenni.
«Sono favorevole. La morte di mia nonna è stato un evento traumatico. È morta dopo tremende e lunghe sofferenze, ho avuto l’impressione che fosse morta non di malattia, ma di dolore. È una soglia difficile da varcare: uccidere è male, e io ho problemi anche con l’aborto, sotto questo profilo. Però bisogna rispettare chi è vivo e consentire l’aborto e l’eutanasia. L’estensione ai minori è una scelta tragica. Ma c’è anche il grande mascheramento della realtà: ospedali pieni di bambini pieni di medicine palliative»
Si dichiara cristiano. Anche cattolico?
«Amo Papa Francesco. Mi piace moltissimo, incarna una Chiesa più sana e aperta, più umile e più libera. Spero non sia solo una campagna di comunicazione pubblica».
Nelle sue opere i personaggi prendono a schiaffi la storia e cambiano loro il volto. Sono piene di colpi di scena: bombe a orologeria o innescate da fili tesi tra le pagine. Sembra un artificiere dei sentimenti.
«Voglio coniugare emozione e intelligenza. Le sorprese fanno sì che il lettore, invaso dalle emozioni, smetta di giudicare, e le emozioni permettono di penetrare a fondo nella sua mente: è la magia della letteratura. Mi piace il contrasto tra le emozioni e le architetture che servono a crearle».
Da dove trae ispirazione?
«Dalla vita. La mia passione è guardare le persone. Poi alla scrivania completo con l’ispirazione. A Roma, per tre giorni, sono stato in caffè, ristoranti, chiese a osservare il mio prossimo, con empatia. L’Italia è incredibile, trovi un referto dell’antica Roma, un Cristo appena uscito da un quadro, un mariuolo di Caravaggio... la gente non sembra uscita dal ventre di una madre, ma dalla cornice di un quadro. C’è cultura e carnalità».
Lei è molto letto, rappresentato e premiato. Qual è la sua massima aspirazione?
«Lo scrittore è una strana bestia che sogna di essere morta per essere letta».
Se dovesse pensare a un animale, come scrittore, quale animale sarebbe?
«Una elefantessa. Un animale che ha gravidanze molto lunghe, che si culla il bambino in grembo. Faccio così: per scrivere sogno, e nutro il mio sogno di fatti. Poi, viene il giorno in cui articolo meglio, e mi metto a scrivere. Tutto veloce, indolore... senza epidurale. La redazione è un momento molto felice. Sono uno scrittore che, diciamo, sogna lungamente e scrive rapidamente».
Le è capitato anche di riscrivere un’opera intera, Il vangelo secondo Pilato, a causa del furto del suo pc. Fu un trauma?
«Sì. Ma è stato anche una benedizione. Al testo avevo lavorato per 7 anni, dopo il furto non avevo niente. Il giorno dopo ho preso una risma di carta e ho ripreso a scriverlo, tutto, dalla prima riga fino all’ultima. E questo mi ha dato molta più sicurezza in me. Un libro è una risma di carta, si inizia dalla prima parola, e si arriva all’ultima. Quello spiacevolissimo incidente mi ha salvato, grazie a quello ho potuto dirmi “va bene” se sono uno scrittore così prolifico, bravo, allora questo furto mi permetterà di mostrarlo».
Sembra l’elogio dei testi perduti.
«Dico che il libro non è il lavoro che ci vuole per scriverlo, è qualcosa che hai dentro di te. Però sì, sono diventato prudente: se sto scrivendo a mano, sulla carta, ogni sera faxo tutto alla mia segretaria; se sono al pc, le invio una mail la sera. Perché naturalmente ti vengono in mente idee strane, ladri, incendi… cose del genere. E poi forse, in fondo, ti puoi salvare davvero una sola volta».