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PIERGIORGIO PULIXI racconta LA NOTTE DELLE PANTERE

Autore: Piergiorgio Pulixi
Testata: Letteratitudine
Data: 16 luglio 2014

PIERGIORGIO PULIXIhttp://www.sfogliando.it/wp-content/uploads/2013/08/120.jpg ci racconta LA NOTTE DELLE PANTERE (edizioni E/O – collezione Sabot/Age). Un estratto del libro è disponibile qui…

di Piergiorgio Pulixi

Pulixi incontra Biagio Mazzeo:

Arrivo in anticipo di venti minuti ma lui è già lì, seduto a un tavolino. Davanti a lui una Bud ghiacciata, i suoi tre cellulari e un incartamento spesso una decina di centimetri.

Sono sorpreso che sia già arrivato. So bene che è un tipo previdente e che ha l’ossessione della sicurezza, ma venti minuti prima… questa è paranoia. Come la mia d’altronde.

Gli basta uno sguardo per riconoscermi. Mi strizza l’occhio. Rispondo con un cenno del capo e mi avvicino. Si alza e mi porge una mano grossa e forte. Gliela stringo fissandolo in quegli occhi celeste slavato. Sembrano quasi finti da quanto sono chiari e freddi. È imponente. Non altissimo, perlomeno non quanto Giorgio Varga e Carmine Torregrossa che vedo rispettivamente ai due lati dell’ingresso a tenere d’occhio la situazione, ma nel complesso dà l’idea di un tipo energico e deciso, che se la caverebbe in qualsiasi situazione.

«Sei in anticipo» dico.

«Anche tu» risponde. La sua stretta è ferrea, ma non mi lascio intimidire e ricambio deciso. So che è uno che bada a queste cazzate da macho.

«Prego, prima le signore» dice indicandomi la sedia.

Scuoto la testa ma mi siedo.

«Cosa prende, signore?» mi chiede un cameriere.

Indico la Bud. «Una di quelle, grazie».

«Due… ti facevo un tipo più da tè, infusi al cocco, o quelle stronzatine da checca».

Mi sta mettendo alla prova: vuole mettere in chiaro che è un duro come se il giubbotto di pelle, il fisico massiccio da peso massimo di boxe e quelle manone dalle nocche segnate non bastassero a gridarlo al mondo.

Lo conosco bene. So come pensa, e so come ci si conquista il suo rispetto.

Mi gratto il collo facendo in modo di colpire la sua bottiglietta con un gomito, mandandola a terra dove esplode in mille pezzi.

«Ops, scusami».

Sposta gli occhi dai cocci ai miei e poi sorride. Sento correre un brivido sottopelle. Ha un sorriso da bambino e folle allo stesso tempo.

«Sta’ più attento, bellezza… Allora? Perché cazzo volevi vedermi?».

«A quanto pare c’è un po’ di gente che è preoccupata per te…».

Inarca platealmente un sopracciglio. «Preoccupata per me?».

«Già. Sanno che non te la stai passando bene, soprattutto dopo la Notte delle pantere, come l’hanno chiamata i giornali…».

Ride scuotendo la testa. «Svegliati, tesoro. Ogni notte per me è una cazzo di notte delle pantere».

Nei suoi occhi colgo uno scintillio divertito. Ma le sue dita stanno accarezzando l’anello di platino all’anulare della sinistra: l’anello di Sergej Ivankov. So che lo fa quando è nervoso o quanto sta pensando intensamente a qualcosa: quel gesto lo aiuta a riflettere e calmarsi.

«Rilassati, non sono qui per giudicarti o cazzate simili» dico.

«Ci mancherebbe altro. E dì un po’, com’è che sai questa storia della notte?» mi fa.

Questa volta sono io a sorridere e a strizzargli l’occhio. «Segreto professionale» dico.

«Buffone…».

Lancio un’occhiata ai suoi due uomini all’ingresso. Mi stanno studiando. Penso che si stiano chiedendo chi cazzo sia. Varga mi fissa come se lo sapesse, ma non può saperlo. Spero di no…

«Conosci anche loro?» mi chiede Mazzeo.

«Certo. Forse loro anche meglio di te».

«Non mi conosco nemmeno io, come cazzo fai a pensare di potermi conoscere?».

«Anche se te lo dicessi, non ci crederesti».

Stira il collo senza schiodarmi gli occhi di dosso. È una di quelle persone che ti fissa senza mai sbattere le ciglia, nemmeno una volta. Capisco che sta ancora decidendo se può fidarsi di me oppure no.

«Tieni» dico porgendogli un pacchetto.

«Che cazzo è?».

«Un regalino per Nicky, un braccialetto d’argento».

Prima sorride poi mi afferra un polso con una velocità incredibile. Quando inizia a stringere sento come se mi stesse sbriciolando le ossa. Ora non sorride più.

«Come cazzo fai a conoscere anche lei?».

«Rilassati. Sono dalla tua parte e dalla sua…».

Sulla sua fronte ora pulsa una vena a ipsilon verdastra e le vene del collo spiccano come cavi elettrici.

«Dimostramelo» sussurra.

«Ti ha regalato l’ultimo cd di Nina Zilli sapendo che c’era una canzone che ti faceva impazzire perché ti ricorda quand’eri bambino… Per sempre».

«E tu come cazzo fai a saperlo?».

È sempre più disorientato. «Usa l’immaginazione, bellezza».

Di colpo sembra capire e mi lascia andare.

Mi massaggio il polso e la mano come addormentata e pianto gli occhi nei suoi. «Mettimi un’altra volta le mani addosso e la prossima volta che finisci in una cella ti faccio inculare a sangue».

«Non finirò mai più dentro…».

«Questo è tutto da vedere» sorrido.

Un cameriere ci serve le due Bud e un altro si avvicina con la scopa per pulire il mio casino. Una volta finito, mentre si appresta a tornare dentro, Biagio l’afferra per un braccio e gli porge dieci euro. «Per l’ingombro» dice.

Il cameriere sorride e lo ringrazia. Tutto si può dire di lui ma non che sia tirchio.

«Cosa sai di Nicky?» mi fa girandosi tra le mani il pacchettino.

«So che se sei furbo segui il consiglio che t’ha dato Ivankov: molli tutto e te ne vai da qualche parte con lei, dove nessuno sa chi sei».

«Più facile dirlo che farlo… Ho alcune questioni in sospeso».

«Lo so. Ma alcune questioni è meglio lasciarle in sospeso, credimi».

«Non questa» dice a muso duro.

Allargo le braccia. «Cazzi tuoi, Mazzeo».

«Sono stanco…» dice. La sua voce profonda e graffiata è quasi un sospiro ora. Trovo strano che si sia confidato così con me. Però lo colgo come un segnale favorevole: si sta aprendo.

«Chi cazzo non lo sarebbe dopo quello che ti sei lasciato alle spalle?» dico.

«Già… Ma non è solo quello. Qui» dice toccandosi una tempia. «Sono pieno di fantasmi… Li vedo e li sento».

«Hai fatto quello che dovevi fare».

«Lo so, ma questo non basta a scacciarli».

«Fatti una bella scopata» butto lì per sdrammatizzare.

Ride. «Fidati, non c’è bisogno che me lo dica tu…».

«No, seriamente, forse dovresti smetterla di tenerti tutto dentro e aprirti con qualcuno».

«No, non posso. Ci sono cose che non posso dire a nessuno…».

«A Santo dicevi tutto…».

«Ma non c’è più…».

Alzo la birra e la punto verso di lui. «A Santo» dico.

«A Santo» risponde battendo la bottiglietta contro la mia.

Beviamo e rimaniamo in silenzio per qualche secondo. Indico con lo sguardo Varga e Torregrossa. «Loro ci sono, però, e darebbero la vita per te».

«Non so più di chi cazzo posso fidarmi».

«L’alternativa è triste» dico.

«Quale sarebbe l’alternativa?».

«Non fidarti di nessuno».

Scrolla le spalle erculee. «È triste ma forse è l’unico modo per restare vivo».

Rimaniamo in silenzio di nuovo a sorseggiare le birre. Ne approfitto per dare un’occhiata a come le altre persone lo guardano. Ha gli occhi di tutte le donne addosso. Sicuramente è un bell’uomo e quegli occhi e quel fisico da gladiatore pesano su questo; ma mi accorgo che c’è anche qualcos’altro: è come se possedesse un fascino particolare, una sorta di magnetismo animale che lo rende pericoloso e imprevedibile, e allo stesso tempo infonde sicurezza e protezione, e questo suo carisma tocca tutti, maschi e femmine, perché in qualche modo lui ha qualcosa che loro vorrebbero avere anche se non lo confesserebbero mai. Però so che tutto l’ascendente che ha sugli altri non servirà a nulla quando arriverà la resa dei conti. E quel momento arriverà presto, molto prima di quello che si aspetta.

Lo fisso. Gli ho fatto già parecchio male e in qualche modo mi fa pena. Lui per me non ha segreti e so che ha fatto molte cose cattive. Però mi fa pena lo stesso. Ha seminato vento, ma ha raccolto un cazzo di Tsunami…

Anche se va contro il mio interesse, voglio dargli un consiglio.

«Biagio, ascoltami. Prendi Nicky, le persone che vuoi bene e lascia la città. Lasciati la Giungla alle spalle e non tornare, è meglio per tutti».

«No, non posso farlo» dice, stentoreo.

Sapevo che l’avrebbe detto.

«E allora guardati bene le spalle…».

«Perché?».

Finisco la birra e mi alzo. «Perché la storia da cui sei appena uscito è un gioco da ragazzine rispetto a quello che ti aspetta…».

Si fa schioccare il collo e si alza. Questa volta mi porge la mano con la presa alla braccio di ferro, la stessa che usa con i suoi uomini. «Adoro le brutte storie» sorride.

«Non avevo dubbi».

Gli stringo la mano e mi batte una pesante pacca sulle spalle.

«Quello cos’è?» chiedo indicando l’incartamento.

«Segreto professionale» mi fa il verso dandomi un buffetto su una guancia. Ma io so perfettamente cosa contiene.

«È troppo tardi per diventare come Ivankov, Biagio. Fidati di me…».

«Te l’ho detto, ragazzo. È meglio non fidarsi di nessuno…».

«Allora? Chi cazzo sarebbe questo qua? La tua nuova fiamma?» fa Carmine Torregrossa colpendo Biagio con un pugno alla spalla.

«Naaa, mi sembra più il tuo tipo, no?» ribatte Mazzeo spingendolo via.

Sono abbastanza alto, ma Varga svetta su di me. Ha uno sguardo vitreo e diffidente.

«Mi dispiace per lei» dico porgendogli la mano.

L’albino mi fissa la mano poi guarda Biagio che annuisce. «È un tipo a posto» dice.

Varga mi stringe la mano e fa un cenno del capo a mo’ di ringraziamento.

Li saluto e me ne vado.

Dopo qualche metro sento un fischio acuto alle mie spalle. Biagio. Mi volto.

«Ci rivedremo, vero?» mi chiede.

I loro occhi sono puntati su di me. Fisso le pistole alle loro cinture che non fanno nulla per nascondere e quelle mani grosse perfettamente pulite ma che io so essere lorde di sangue.

«Ci puoi scommettere, bellezza» sorrido.

Mazzeo annuisce e afferra l’incartamento. Il BlackBerry prende a vibrare sul tavolo. Lui si china a vedere chi è, e il suo viso si rabbuia. S’infila il pacchetto in tasca, butta una banconota sul tavolo e fa un cenno agli altri di levare le tende.

So chi era e so che è appena iniziata.

«Biagio?» lo chiamo.

Si volta.

«Tieni gli occhi aperti».

«Anche tu, ragazzo».

Li osservo correre via e un po’ ho pena per loro ma al tempo stesso li invidio. È la vita che hanno scelto, e hanno abbastanza palle da accettarne le conseguenze. Me ne vado sapendo che li rincontrerò molto presto. Forse non tutti…

(Riproduzione riservata)

© Piergiorgio Pulixi

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Piergiorgio Pulixi è nato a Cagliari nel 1982 e vive a Padova. Fa parte del collettivo di scrittura Sabot creato da Massimo Carlotto di cui è allievo. Insieme allo stesso Carlotto e ai Sabot ha pubblicato Perdas de Fogu, (edizioni E/O 2008), e singolarmente il romanzo sulla schiavitù sessualeUn amore sporco inserito nel trittico noir Donne a Perdere (edizioni E/O 2010). È anche autore del romanzo Una brutta storia (edizioni E/O – collezione Sabot/Age). Alcuni suoi racconti sono stati pubblicati sul Manifesto e Micromega.

© Letteratitudine