Superlavoro per Blanca: trovare gli assassini e difendere la sua famiglia
Autore: Francesco Durante
Testata: Corriere del Mezzogiorno
Data: 15 giugno 2014
Il problema, coi romanzi seriali, è che recensirli è difficile. Non è possibile soffermarsi troppo sulla trama, perché si corre il rischio di privare il lettore del
piacere della sorpresa. E quanto ai personaggi, i quali sono ovviamente ricorrenti, anche lì è davvero difficile inventarsi qualcosa di nuovo. Il povero recensore è costretto a porsi la questione, e a riflettere sul da farsi. Io, per dire, sarei incline a non recensire più questo tipo di romanzi, se non quando siano il primo tempo di una nuova serie. O, meglio, sto pensando che altre forme giornalistiche, molto più della recensione, potrebbero adattarsi con efficacia a questo genere letterario.
Non mi sogno quindi di negare valore letterario a una produzione che, in Italia in generale e in Campania in particolare, vive oggi una grande fioritura. Spesso il giallo e il noir si sono rivelati strumenti perfetti non solo per creare storie avvincenti, ma anche per esplorare la realtà contemporanea con piglio nuovo e lontano da un certo estetismo libresco. Hanno saputo dirci di più, e meglio, su questioni di primaria importanza, e in definitiva hanno restituito un ritratto acuto e sensibile del mondo che abitiamo. Perfino nella definizione dei personaggi, il «genere» ha affinato le sue armi, e a volte sembra quasi che, senza una storia di tensione sullo sfondo, sia impossibile far emergere una personalità complessa, descritta anche nei suoi lati oscuri, a tutto tondo come si conviene a una vera macchina romanzesca.
Una riprova di questa perspicuità è adesso fornita da Patrizia Rinaldi nel nuovo romanzo della serie di cui è protagonista la sovrintendente Blanca Occhiuzzi, <em>Rosso caldo</em>. La storia, al centro della quale torna il commissariato di Pozzuoli, si muove sul doppio binario di una trama principale che giungerà alla spiegazione del perché di una catena di assassinii legati a misteriosi eventi che hanno luogo negli scantinati di un palazzo nobiliare, e di una trama vicaria giocata sulla grave minaccia recata a Ninì, figlia adottiva di Blanca, dal padre di costei Gianni Russo, evaso dall’ospedale in cui era piantonato; minaccia che tocca anche il commissario Martusciello, che è in pericolo di vita...
Capirete che ho detto fin troppo: ma non era di questo che mi premeva parlare, bensì del modo in cui la trama si struttura nella forma romanzesca. Rinaldi ha trovato un suo modo originale di fare in un sol colpo due operazioni in apparenza opposte: imprimere un’accelerazione alla storia, e segnare una pausa di ricapitolazione e approfondimento. Così, ha sparso lungo i 47 brevi capitoli del romanzo altri 11 capitoli ciascuno dei quali, al posto del numero, reca a mo’ di titolo il nome di uno degli 11 personaggi principali. Nei capitoli a loro intestati, essi dicono in prima persona il loro punto di vista, le loro ragioni e i loro sentimenti, parte dei propri segreti. Così fa per esempio l’agente scelto Carità, una delle colonne del commissariato di Pozzuoli, che in quel capitolo l’ha vinta a mani basse sulla sua proverbiale «mutagnola».
Direi che questi capitoli testimoniano di un’istintiva resistenza di Patrizia Rinaldi alle regole assolute del giallo. Intendiamoci: lei le rispetta, e confeziona una storia che, come sempre, funziona perfettamente. Eppure non perde occasione per mostrarci un suo desiderio di fuga. Piccoli indizi, magari, ma per me significativi: come quando, nella sua narrazione rigorosamente in terza persona, si affacciano frasi di questo tipo: «Palazzo de Pignatta stava e ancora sta...». Ecco: «stava e ancora sta» è un’irruzione dell’estro dello scrittore in una oggettività che in qualche modo ne viene «turbata». Un’irruzione indebita, potranno stimarla i puristi del genere. Ma io, e credo molti altri, la apprezzo proprio per questo.