Se c’è un argomento che va sempre, e verrebbe da dire per fortuna, è quello relativo ai fatti accaduti durante la Seconda guerra mondiale, con in particolare le vicende di sopravvivenza o annientamento del popolo ebraico. Un filone meritorio e interessante, dove però non è certo facile scrivere qualcosa di originale, ed è per questo che si distingue tra gli altri libri Il bambino che parlava la lingua dei cani, dell’esordiente in letteratura Joanna Gruda, canadese di origini polacche, che racconta l’infanzia di suo padre, ebreo e figlio di militanti di sinistra, tra Francia e Polonia.
Con toni che ricordano cosa raccontava sullo schermo dei bambini François Truffaut, l’autrice ci parla di Julek, figlio di attivisti comunisti polacchi, la cui nascita viene decisa dal comitato stesso, che cresce in Francia tra zii e comunità, gioca, vede la realtà dal suo punto di vista, si inventa la fama di parlare con i cani, vive sulla sua pelle rivolgimenti politici e la guerra, vivendo un momento unico e tragico della Storia del secolo breve, senza perdere per un attimo la voglia di sognare di un bambino e il suo punto di vista sul mondo degli adulti, lucido, disincatato e pieno di umorismo.
Scegliendo di raccontare non le grandi Storie degli adulti, ma la storia comunque non piccola e molto originale di un bambino, l’autrice fa rivivere la stagione di prima e durante la guerra in una prospettiva originale e interessante, senza pietismi e retorica, raccontando anche di quanto poteva essere difficile, triste ma anche splendido essere bambini in quell’epoca, perché Julek, questo piccolo uomo impertinente e simpatico, non si sente vittima né perseguitato, malgrado i pericoli e le limitazioni a cui è sottoposto, e vive la sua infanzia con senso della libertà e voglia di scoprire questo mondo che i suoi genitori vogliono cambiare e che non è il mondo migliore comunque in cui vivere.
Julek è un personaggio che conquista, uno dei tanti piccoli e piccole che dovettero magari crescere prima ma non per questo si sentirono defraudati di qualcosa, capaci anche a distanza di anni di ricordare con rimpianti i tempi tumultuosi della guerra, tra fughe, scuole, giri tra amici, scoperte. E dopo varie storie, reali ma tragiche, di bambini e bambine vittime della guerra, fa piacere leggere anche di chi è sopravvissuto alla guerra, in maniera rocambolesca, tra l’altro tenendo conto che la vicenda narrata è vera, e oggi Julek vive nel Quebec francese, dopo una vita che non ha cessato di essere avventurosa dopo la guerra, ed è capace di affabulare ancora con la sua storia, che ha affascinato sua nipote e non solo.
Il bambino che parlava la lingua dei cani è senz’altro un libro da consigliare ai più giovani, per dar loro una prospettiva diversa su un periodo storico su cui comunque ci sarà sempre da dire, ma è bello da leggere anche per chi è più grande, per ritrovare quello spirito di avventura e magia degli anni della preadolescenza, che poi sparisce di solito nella vita di ciascuno.
Joanna Gruda, è la figlia del protagonista di questo romanzo. Nata in Polonia, è arrivata all’età di due anni, in barca, a Trois-Rivière. Dopo aver studiato teatro e lavorato alcuni anni come attrice, è diventata traduttrice e redattrice. Il bambino che parlava la lingua dei cani è il suo primo romanzo, pubblicato in Canada con Les Éditions du Boréal.