Pensate all’acqua, pensate a voi immersi fin sopra la testa per qualche minuto e poi pensate al momento in cui dall’acqua riemergete per prendere fiato tirandolo dentro con tutta la forza dei vostri polmoni. Così è leggere Una brutta storia di Piergiorgio Pulixi. Non vi è possibilità di interruzione a quel flusso che vi prende e vi stronca il respiro, la lettura vi ghermisce e non potete fare altro che riemergere dall’altra parte, sul finale.
Biagio Mazzeo è un poliziotto corrotto a capo di una banda di altri poliziotti, il branco, la città è sua e, per la sua sete di potere, non esita con i suoi accoliti a commettere ogni nefandezza. Spacciano, picchiano, minacciano, uccidono: sono la squadra Narcotici. E sono una famiglia. A cercare di contrastarli solo un diretto superiore, Valerio Bucciarelli, mentre tutti gli altri, i capi, chiudono gli occhi di fronte alle azioni compiute dal branco. Biagio mantiene la città in ordine, sotto il suo diretto controllo, e tanto basta loro. Un singolo evento, un errore, innesca una valanga di avvenimenti: Goran, il fratello di un criminale ceceno, Sergej Ivankov, viene ucciso per sbaglio durante una rapina commissionata da Mazzeo e i suoi. Da quel momento niente è più come prima nella giungla. Sergej non è un criminale come gli altri, cerca la vendetta che è parte di lui da prima ancora che tutto accada: non è come Mazzeo eppure gli assomiglia.
Edito nella collana Sabot/age, della edizioni E/O, il romanzo di Pulixi mantiene una cifra stilistica tipica di questa collezione: attraverso l’opera letteraria racconta un argomento sul quale generalmente vige la regola del silenzio, squarcia la realtà quindi attraverso la fiction. Questo romanzo non è un tipico poliziesco, sebbene ne abbia tutte le caratteristiche positive, è qualcosa di più e, in forza di questo, si rende adatto alla lettura anche di chi, come me, ha deciso di avviarsi alla lettura per la fiducia al progetto che si va disvelando e che stiamo imparando a conoscere attraverso le sue pubblicazioni. La struttura della storia, studiata nel più piccolo dettaglio, accompagna il lettore in una corsa sfrenata, non tralasciando mai alcunché, i personaggi da comprimari diventano protagonisti con la loro storia uno alla volta. Come se il capocomico, il freddo Mazzeo, sapesse quando deve ritirarsi dalla scena, per lasciare che uno dei compagni si faccia avanti e racconti di sé. E non è tutto. La progressione nella storia avviene anche attraverso l’introduzione di nuovi personaggi, persino intorno alla pagina 200 di un romanzo composto di poco più di 400 pagine. E nulla quindi può essere dato per scontato. Nessuno dei protagonisti, per quanto non assoluti, è lasciato piatto ma è fornito di uno spessore tale che, nonostante il gran numero, quasi tutti restano impressi nella memoria. Varga, Claudia, Santo, Vatslava e gli altri, mi sembra di poterli incontrare per strada, di poterli vedere tra la folla e poterli riconoscere guardandoli negli occhi: la rossa, l’albino, il vecchio, la bella cecena. E io, che non leggo romanzi di questo genere, ad un certo punto ho realizzato che questo è un romanzo di genere e al contempo non lo è. Tali e tanti sono i caratteri dell’opera greca, del romanzo classico, e poi del romanzo di genere che i piani si moltiplicano al punto che la lettura può essere solo che definita complessa ed appagante, sebbene il finale sia lasciato, come spesso accade, aperto, pronto al seguito (ora in libreria) eppure sufficiente a se stesso. Poteva non scriverlo Pulixi il secondo, eppure doveva, perché Mazzeo è così vivo, e reale, tanto spietato da poter essere caricaturale, eppure così ben costruito da non risultare mai fasullo. Non esistono i buoni, e forse è così che accade nella vita: difficilmente è possibile trovare contorni netti piuttosto che le sfumature.; chiaramente nella dimensione del testo vi è una esasperazione, non siamo tutti assassini, non lo è Bucciarelli che però, messo davanti ad una scelta, decide di salvare se stesso, sebbene…
E noi che, se ne leggessimo sui giornali di questo branco, di questa famiglia disfunzionale in cui i legami affettivi si proteggono passando per il sangue e il carisma del capo, li odieremmo, ci ritroviamo a sperare per la loro vita, la loro salvezza, la loro vittoria sul mondo sporco di cui sono il prodotto.
Il continuo slalom tra le storie, i flashback sul passato dei protagonisti, e il racconto del presente vanno di pari passo costruendo un puzzle che precipita correndo verso il finale, e noi con lui precipitiamo, corriamo, giriamo con foga le pagine, per trarre quell’ultimo profondo respiro.
Piergiorgio è stato cesellatore di una storia e allo stesso tempo bombarolo; tutto esplode nella sua perfetta costruzione, tutto deflagra pur essendo stato costruito con l’attenzione di una mamma verso la propria creatura. Piergiorgio fa esplodere un mondo che ha pazientemente costruito, pagina dopo pagina, riga dopo riga.
E ora, alla fine, respiro.
Io amo i libri, come fossimo fidanzati, io e tutti loro. Quando un libro mi delude è come se avessi litigato con tutti, non voglio averci a a che fare per un paio di giorni, al contrario, quando ne amo uno allora li amo tutti, e chiusa la pagina sono pronta a tuffarmi in un’altra, ad amare ancora. E quando ho chiuso Una brutta storia, dopo aver ripreso fiato, avevo solo voglia di averne ancora, di più. Di lasciare che altre pagine mi entrassero dentro e scuotessero. Piergiorgio mi ha tolto il fiato e, mai nella vita reale, non vedo l’ora di incontrare di nuovo Mazzeo e i suoi.