“…La dolcezza dell’aria mi fa sognare ciò che è stato e ciò che sarebbe se tu fossi vivo. So che questo sogno prova la mia incapacità di vivere il presente. Mi lascio trascinare da questa corrente senza guardare troppo lontano o troppo in fondo. Aspetto il momento in cui ritroverò la forza. Verrà. La vita mi appassiona ancora. Voglio salvarmi, non liberarmi di te”.
Se si facesse una classifica sugli epiloghi più belli della letteratura del novecento i righi cui sopra firmati di Anne Philipe per “Breve come un sospiro” avrebbero buone chances di occuparne la testa. Magnifiche lemme per come vanno ad incavare in quel punto dell’anima dove si mettono in moto le energie che dovrebbero risanare la voglia di vivere vita dopo il lutto, la perdita della persona più cara.
Una scelta pregevole quella della casa editrice romana E/O di riportare in libreria (l’ultima edizione l’aveva pubblicata nel 1997 Garzanti), per la collana gli Intramontabili e la traduzione diGiancarlo Buzzi, l’opera con cui Anne Philipe esordì nel 1963 aggiudicandosi anche il prestigioso Prix de l’Umanité.
Un racconto breve ma che scuote fortemente la sfera dell’ affetto, con un registro che assomiglia alle pagine di un diario dove Anne Philipe rievoca il suo grande amore per il marito e gli ultimi mesi di vita prima che un cancro al fegato lo stroncasse non ancora trentasettenne.
L’uomo è Gérard Philipe uno dei più amati attori cinematografici della sua generazione che già nello scandaloso “Il diavolo in corpo”(1946) di Claude Autan-Lara - e in seguito ne “La Certosa di Parma” (1947) di Christian Jaque nelle “Amanti di monsieur Ripois” (1953) di René Clément - si era rivelato figura fascinosa e inquieta, nell’attore che meglio incarnava un’idea problematica della giovinezza, mentre fuori dal set si distingueva per l’impegno politico sulla “rive en gauche” (fu il primo fra gli artisti francesi a firmare l’appello di Stoccolma che si opponeva alla corsa agli armamenti).
Nelle sue pagine Anna Philipe ci mette pudore e sentimento (da non confondere con un sentimentalismo ostentato) per descrivere i pensieri, i silenzi, i momenti di felicità, gli sguardi che “tornano ad essere quelli dei primi giorni di innamoramento”, il disorientamento e l’angoscia legato alla malattia che irrompe. L’amore per Gérard scrive Anne è il “più bel legame con la vita” , uno stato di grazia finché non arriverà la morte e nulla sarà più come prima.
Il racconto della Philipe scorre veloce e quando si giunge alla frase di congedo “voglio salvarmi, non liberarmi di te” si è assaliti dalla voglia di ricominciare daccapo la lettura, per far risuonare più forte il canto di un amore che non poteva essere raccontato se non dalle pagine di un libro, di un ménage che si dirama lungo il tratto breve di un sospiro e si rifugia nel ricordo per non lasciarsi scolorire, morire .