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Profondo Nord

Testata: La Regione Ticino
Data: 7 aprile 2014

I piccoli paesi di campagna un po' si assomigliano. Una chiesa, poche case, un bar, prevalentemente frequentato da uomini, la barista dal petto generoso, il gioco delle carte, un televisore sempre acceso, il dancing, il cinema a luci rosse e, naturalmente, una galleria di personaggi policromi che trascorrono il tempo unendo e intersecando i propri destini in bilico tra amicizia e diversità. In queste periferie tutti sanno, o credono di sapere, tutto di tutti. Così è al Sud, e così è al Nord: cambiano i dialetti, i paesaggi, i riferimenti culturali, ma la sostanza delle abitudini di vita è molto simile. Il romanzo 'Piccola osteria senza parole' di Massimo Cuomo è ambientato a Scovazze: un piccolo paese immaginario nella campagna tra Veneto e Friuli, il profondo Nord d'Italia. La comunità del posto è autoreferenziale e un tantino razzista. Il Punto Gilda, l'unico bar del paese, è il fulcro attorno al quale gira la vita della comunità. Il locale è gestito dalla pettoruta Gilda, da poco vedova. Gli avventori, tutti maschi, hanno una propria originale personalità. Tra loro Bruno Borìn, sempre con una valigia di metallo in pugno, Costantino Paneghèl, che ama gli abiti firmati taroccati, il possente e taciturno Carnera, gran lavoratore dal ventre enorme, Francesco Perini, al quale hanno montato le ossa senza il libretto d'istruzioni, l'anziano Beppe Basso, mezzo sordo e con i pannoloni, e i cinque fratelli Sorgòn, perennemente seduti al tavolo del bar intenti a giocare a carte. Il quadro si completa con Silvana Rasutti, una donna sola in attesa dei marziani e del vero amore. In modo corale questi personaggi contribuiranno, una volta l'uno, una volta l'altro, ad alimentare il racconto di questa coinvolgente vicenda ambientata nel 1994: l'anno dei Mondiali di calcio negli Stati Uniti. La televisione del bar è sempre accesa sulle partite e la cronaca di questi incontri riportata con regolarità dall'autore che, fugacemente, appare nella storia. Lui è seduto in un angolo del ritrovo pubblico. Con occhio attento annota gli avvenimenti trasformandoli in parole. Quelle parole che mancano agli abitanti del posto. Perlopiù taciturni, con la lingua italiana hanno poca dimestichezza e preferiscono esprimersi in dialetto. In questa piccola comunità dimenticata da Dio, dove non succede mai nulla di rilevante, la vita è scandita dal tempo che passa, dai lavori in campagna e dalle attività della Taurizoo, impresa in cui si allevano tori da riproduzione. La situazione cambia, colorandosi di giallo, quando in zona arriva Salvatore Maria Tempesta: un meridionale alla guida di una Ritmo decappottabile. La sua entrata in scena è memorabile. Giunto nella campagna di Scovazze accosta la sua auto a un fosso. Un impellente bisogno fisico lo costringe a rifugiarsi dietro a un cespuglio. Lì, in quella posizione scomoda, scorge l'automobile inclinarsi paurosamente verso il fossato. "Fa appena in tempo ad ammassare i pantaloni come può. Se li raccoglie sui fianchi con tutte le bretelle e le mutande e carta igienica e merda. Imbastisce un tuffo disperato verso il paraurti posteriore, con l'istinto di trattenerlo a mani nude". Tutto invano. Tempesta rimane appiedato. Accolto da Borìn, che ha assistito alla scena, fa ben presto conoscenza con i vari abitanti del paesello. Introdotto, con diffidenza, alla vita del bar si scoprirà che il terrone è giunto in zona per una missione. È alla ricerca di un campanile che appare su una mezza fotografia che porta con sé. L'uomo, però, non lascia trapelare nulla sul vero motivo di questa ricerca; motivo che si scoprirà solo alla fine del romanzo con un clamoroso colpo di scena. Tempesta, al contrario degli autoctoni, ama parlare e conosce le parole per farlo. Lui con le parole ci gioca pure. Possiede una scatola di plastica, il Paroliere: una sorta di "Ruzzle" manuale. Un gioco che inaspettatamente coinvolge molti attori del romanzo. Saranno proprio le parole e la capacità di Tempesta di entrare in empatia con i curiosi abitanti di Scovazze, a cambiare i rapporti tra loro e a far affiorare verità nascoste. Un libro divertente, ironico ma anche di straordinaria dolcezza.