Danila Bonito: «Racconto la vita da brava cronista»
Autore: Claudia Presicce
Testata: Quotidiano di Puglia
Data: 6 aprile 2014
Se quella voglia di raccontare, che irrompe nella vita di chi sceglie di fare il giornalista, improvvisamente si gira e ti guarda dritto in faccia, è arrivato il momento di parlare di te. E non è una sfida da poco, laddove fare i conti con la propria vita significa anche mostrare a qualcun altro prospettive inedite di orizzonti conosciuti.
Danila Bonito, giornalista Rai per quasi 35anni, inviata speciale del Tg1 e volto noto per programmi come “Donne al bivio”, ha deciso di raccontare in “Sogni di marzapane” (e/o edizioni) la sua storia normale di donna che, pur convivendo con il diabete sin da ragazzina, non ha mai smesso di guardare oltre i limiti che altri attribuivano alla sua condizione. Tra gli “altri” c’è anche il medico che le predisse che non sarebbe arrivata ai diciotto anni...
Oggi pomeriggio sarà a Lecce a presentare il suo libro.
Quanto la decisione di fare i conti con la propria verità è riconducibile al suo lavoro di giornalista?
«Tanto, perché in 35 anni di giornalismo mi sono sempre posta il problema etico, prima ancora che deontologico, di interrogarmi sul concetto di verità e di essere più fedele possibile ai fatti. Sono nata cronista e lo sono rimasta tutta la vita, anche quando, conducendo programmi in cui si raccontavano delle storie verificavo personalmente che fossero vere».
Il titolo del libro in cui racconta la sua storia fa pensare ad una favola: “Sogni di marzapane”.
«Lo volevo evocativo, ci sono dei messaggi dietro. Mia madre era golosa del marzapane e quei fruttini dolcissimi colorati mi hanno sempre fatto molta allegria. Poi c’è l’evocazione della casetta di marzapane della favola di Hansel e Gretel che dentro però contiene la strega. Quindi qualcosa che fa bene, ma anche male e nel mio caso fa soprattutto male. Ecco il sogno del marzapane».
Fa male perché, come lei racconta, il diabete è entrato precocemente nella sua vita. Entriamo nella dinamica del libro...
«È una biografia un po’ particolare, con tante cose, riflessioni come le mie poesie scritte fino agli anni Novanta. È cronologico, ma diviso in capitoletti brevi, sintetico e duro come da scrittura giornalistica. Ho raccontato tante donne al bivio e ho poi sentito che fosse arrivato il momento di raccontare la mia verità. Per cui non parlo solo del diabete, il messaggio è che, qualunque problema si abbia, si può imparare ad affrontare con più serenità la vita. In alcuni casi è molto dura, il diabete è una cosa antica di cui si pensa di sapere tutto, ma non si sa molto. L’intento è far capire anche a chi è vicino ad un diabetico che non bisogna avere un approccio da gendarmi, imponendo privazioni, ma che invece basta un minimo autocontrollo e la vita procede normalmente. Per questo racconto come io non mi sono mai limitata troppo...».
Vivere con un senso di precarietà quando da ragazzina ti dicono che non vivrai a lungo, che cosa provoca?
«Genera paure. La paura mi ha portato a vivere “qui e ora” e mi ha fatto aprire al mondo».
Lei racconta molti incontri della sua vita, ma anche di una violenza subita. Nasce da qui la sensibilità giusta per trattare di donne con problemi?
«Sicuramente ha contato, pur avendo sempre avuto la tendenza all’ascolto. Questo episodio di violenza l’ho rimosso, ma da qualche parte è dentro di me ed è chiaro che mi è rimasta un’attenzione particolare al femminile. Per esempio oggi odio il termine femminicidio e che se ne parli spesso con violenza».
Lei è stata tanti anni in tv, poi è andata via e ha fatto un libro. Tanti sono onnipresenti in tv: ma esiste secondo lei una sindrome da presenza televisiva?
«Assolutamente sì, anche se non mi appartiene. Per molte persone l’apparire è tutto ed è, secondo me, un grosso limite quando diventa più importante dell’essere».