La notte delle pantere si apre con una guerra malavitosa appena iniziata: tre cadaveri vengono rinvenuti in un hangar. Irene Piscitelli, alto dirigente di pubblica sicurezza della SCO, conosce bene vittime e carnefici, ciononostante chiede che i tre cadaveri vengano dimenticati. È una tosta, questa donna slanciata e mora, potente, acuta, caparbia, giunta ai vertici del dipartimento grazie al cervello e non alla straripante bellezza. Per combattere questa lotta all’ultimo respiro contro la ‘ndrangheta le serve un uomo, l’ispettore Biagio Mazzeo, già comparso nel romanzo d’esordio di Piergiorgio Pulixi, Una brutta storia, uscito nel 2012 per la stessa collana di edizioni e/o: sabot/age. Peccato che la persona in questione sia chiusa in prigione e lì pestata a sangue, perché — secondo i suoi nemici — deve pagare per l’uccisione del suo superiore, il vicequestore che comandava la Narcotici e che stava per denunciare la corruzione della Narco, capitanata appunto da Mazzeo. Ora la squadra è la stessa, stessi i membri. Conoscono le leggi della strada e della violenza, non si mescolano agli altri poliziotti. Sono Le pantere e aspettano una ritorsione, ma sanno che assieme hanno più chances di fronteggiare la ‘ndrangheta, perché l’unione fa la forza, tanto più se il vincolo è solido quanto il loro:
«Si definivano un branco. Perché appartenevano alla stessa razza: sbirri. Si muovevano sempre insieme, cacciavano uniti, si difendevano a vicenda e non lasciavano indietro nessuno. Era stato Biagio a metterli insieme, come un padre li aveva accolti e protetti, facendo capire loro che col lavoro che facevano l’unico modo per restare in piedi era serrare i ranghi, diventare una grande famiglia, condividere tutto».
Le pantere però si sono ficcate in un bel guaio. Hanno tentato di fottere l’organizzazione criminale rubandole della droga e ciò non verrà loro perdonato. Navigano in cattive acque, in questo momento, anche per via delle accuse di brutalità: i colleghi li odiano, gli avversari li vorrebbero punire, il loro capo è galeotto. L’avvenente Irene Piscitelli propone a Biagio Mazzeo un accordo che prevede la sua scarcerazione. Non solo: la squadra delle pantere si dovrà trasferire al CCD — Contrasto Criminalità Diffusa, una sezione finalizzata a contrastare il fenomeno delle bande giovanili e di reati minori anche collegati con i piccoli racket di spaccio. Un declassamento, in apparenza: l’ispettore è costretto ad accettare. E qui mi fermo, prima di tutto perché dei libri non mi piace svelare troppo e poi perché vi lascio il piacere di proseguire da soli una lettura interessante, dove scoprirete anche dati significativi sulle organizzazioni criminali, dati sui quali l’autore si è ben documentato, pur senza mai sacrificare l’espediente narrativo:
«La Santa o Società maggiore è una branca molto pericolosa della mafia calabrese. È nata intorno agli anni Settanta dopo la prima guerra di ‘ndrangheta per un’esigenza molto particolare: prendersi lo Stato, da dentro; i santisti infatti possono avere contatti anche con non affiliati e soggetti che hanno prestato giuramento alle istituzioni come poliziotti, carabinieri, politici, magistrati e soprattutto massoni, cosa invece impossibile a qualsiasi normale ‘ndranghetista, da cui il santista differisce anche riguardo a regole e giuramenti, che gli lasciano molto più spazio di manovra all’interno delle istituzioni in nome dell’instaurazione di rapporti di cointeressenza con la classe politica, fino a inglobare la politica stessa».
Piergiorgio Pulixi — nato a Cagliari nel 1982, elemento del collettivo di scrittura Sabot creato da Massimo Carlotto — dimostra anche in questo progetto un talento poderoso nella tenuta della storia e la capacità — non semplice, per un noir ben studiato che convoglia anche nel poliziesco — di far svoltare il lettore in ogni scena, senza che perda i fili. Anzi, auspico che presto questo romanzo venga trasposto una in serie televisiva e diventi qualcosa di simile, ad esempio, a Banshee o Sons of Anarchy. Gli elementi per tenere alta la tensione ci sono tutti: vengono orchestrati con maestria, ma anche con passione. I momenti di azione sono alternati a dialoghi che il lettore segue concentrato. E poi son riusciti i personaggi, le tresche dietro le quinte, gli imbrogli. Ma più bello di tutto è il senso di giustizia più volte violato, eppure perseguito. Perché è così, vero, Piergiorgio? Hai sabotato l’omertà e la corruzione perché ci credi ancora — ci scommetto — che si possa lottare per un mondo migliore. Bravo.