Il ritorno di un personaggio piuttosto controverso, nato dalla penna di Piergiorgio Pulixi, uno dei membri del collettivo di scrittura Sabot creato da Massimo Carlotto, di cui è allievo, e con cui ha pubblicato Perdas de Fogu: stiamo parlando di Biagio Mazzeo, già protagonista di Una brutta storia.
Lei fa parte del collettivo Sabot, un gruppo di scrittori che si dedicano al noir fondato da Massimo Carlotto, Cosa significa per lei farne parte?
Condividere un percorso di crescita e condivisione di esperienze comune. Cercare di migliorare grazie a un confronto costante sia come romanziere che come uomo. E soprattutto avere il privilegio – e di conseguenza la responsabilità – di avere come maestro uno scrittore come Massimo Carlotto che ha rivoluzionato il genere noir, aprendone le porte al grande pubblico, dimostrando che non esistono confini tra letteratura “alta” e “bassa”; esistono grandi scritture e grandi sensibilità letterarie in grado di abbattere qualsiasi staccionata. Credo che chiunque oggi scriva noir e polizieschi in Italia debba rendergli onore di questo. Noi, nel nostro piccolo, seguiamo questa scia, cercando di affrontare le storie con grande professionalità e massimo rispetto per i lettori, come ci è stato insegnato.
“Ritorna Biagio Mazzeo, il poliziotto protagonista di Una brutta storia”: aveva concepito sin dal primo romanzo che ci sarebbe stato un seguito alle vicende di questo personaggio?
Sì, avevo un’idea abbastanza precisa di dove sarebbe terminato “Una brutta storia” e dove sarebbe sfociato “La notte delle pantere”. Nella mia mente Biagio Mazzeo è nato come un personaggio seriale sin dall’inizio. Ora che ho quasi terminato il terzo episodio, però, mi rendo conto che la serialità si estende a tutta la sua famiglia, alla città e alle sue mutazioni criminali, e a dei nemici con cui ha ancora qualche conto in sospeso. La sfida è cercare di mantenere vivo e in costante cambiamento il personaggio. Cerco di seguire quell’adagio che è la storia che cambia il personaggio, usurandolo nelle emozioni e nel carattere, e non viceversa. E la storia non da tregua a Mazzeo, né questa né la prossima…
Biagio Mazzeo, con le sue parole e le sue azioni, distrugge gli ideali di giustizia e legalità proiettando il lettore in un mondo in cui “concetti come giustizia e legge sono molto relativi, soprattutto a certi livelli di potere.” A questa immagine di poliziotto corrotto e senza scrupoli si aggiunge anche la volgarità del razzismo e del machismo.
Non crede che sia una caratterizzazione esasperata?
Il mio essere cittadino le risponderebbe “spero di sì”, l’autore invece direbbe che è un personaggio funzionale al tipo di storia che volevo raccontare. Mi serviva quell’angolazione lì: né il classico investigatore buono e ligio alle regole né un criminale tout court, un fuorilegge in guerra con lo Stato. Avevo bisogno di una figura intermedia. Un uomo duro e pragmatico, capace di grandi gesti sia nel bene che nel male. Un uomo complesso, in bilico, per cui il fine giustifica sempre i mezzi. E il fine – per quanto può sembrare strano – per Biagio è sempre stato l’amore, nelle sue più svariate declinazioni. E penso che ciò sia evidente ancora più in questo secondo libro che nel primo. È un uomo in grado di amare e odiare in una maniera smisurata.
La trattazione del tempo nel suo romanzo ha la particolarità di non fornire mai riferimenti a mesi o stagioni: è una scelta voluta?
Sì. Non faccio riferimenti nemmeno a nomi esatti di luoghi. La città in cui si svolge il racconto prende solo il nome di “Giungla” così come viene chiamata dai poliziotti della squadra. Mi piace l’idea di rendere quella città universale, e fare in modo che ogni lettore possa immaginarsela nella sua mente senza restrizioni logistiche. Quando mi si chiede dove immagino questa città, rispondo però che la vedo al nord, nord-est.
Chiarelettere ha recentemente pubblicato un saggio intitolato “Il partito della polizia”, scritto dal giornalista di Repubblica Marco Preve: si tratta di un’inchiesta che punta i riflettori su alcune verità scomode in cui gli abusi di potere e le violenze di politica e giustizia si intrecciano indissolubilmente, e che potrebbe essere perfettamente affiancato al suo romanzo.
Di quali fonti si è servito a sua volta per ricostruire il modus operandi della mafia e delle forze dell’ordine descritto nel romanzo?
Le più svariate. Da inchieste di ottimi cronisti come appunto il bravissimo Marco Preve o Federica Angeli e Marco Mensurati, sempre di Repubblica. Atti giudiziari, giornalisti di nera. Colleghi autori, e qualche ufficiale di polizia in pensione. Col tempo poi anche i lettori sono diventati delle “fonti”: sanno che il filone che ho scelto di perseguire con questa serie è questo, e spesso mi arrivano degli spunti anche da loro. Ciò che posso senz’altro dire è che c’è una gran voglia di verità in questo Paese, e non è assolutamente difficile reperire informazioni. Internet di sicuro aiuta, ma la gente è proprio stanca delle menzogne, e quindi fa di tutto per facilitare il diffondersi della verità.
Il festival della letteratura noir Nebbiagialla di Suzzara, il festival dedicato al noir di Courmayeur, il Marina Café Noir che ha sede proprio a Cagliari, la sua città d’origine…partecipa volentieri agli eventi dedicati alla letteratura? Se sì, quali sono quelli che un appassionato lettore di romanzi noir non può assolutamente lasciarsi scappare?
Sì, partecipo e ho partecipato a tanti festival che ritengo importantissimi come occasione di incontro e crescita con i colleghi, e come scambio e instaurazione di rapporti con i lettori che vanno oltre la letteratura. Sono così tanti e di così alto spessore che ho paura di lasciarne fuori qualcuno, però sicuramente il festival noir di Courmayeur, il Festival del giallo di Camaiore, la Passione per il Delitto, lo SugarPulp Festival di Padova, Lomellina in Giallo, il Festival Mediterraneo del Giallo e del noir di Sassari, il Nebbiagialla, il Festival del Giallo di Cosenza, e tanti altri…