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«Con le parole facciamo esperienza del mondo»

Autore: Simone Gambacorta
Testata: Quotidiano della Provincia di Teramo
Data: 19 marzo 2014

Narrativa, cinema, teatro, televisione: per Elisabetta Bucciarelli la scrittura è una e centomila. Oltre ad aver scritto molti racconti per antologie, riviste e giornali, ha pubblicato i romanzi "Happy Hour" (Mursia, 2005), "Dalla parte del torto" (Mursia, 2007), "Femmina de luxe" (Perdisa Pop, 2008), "Io ti perdono" (Colorado Noir - Kowalski, 2009), "Ti voglio credere (Colorado Noir - Kowalski, 2010), "Corpi di scarto", (VerdeNero, 2011), "L'etica del parcheggio abusivo", Feltrinelli, 2013) e "Dritto al cuore" (E/O, 2013). Scrittrice «di qualità conclamata » - citando le parole di Mariano Sabatini - Elisabetta Bucciarelli ha appena pubblicato per la casa editrice Ponte alle Grazie il saggio "Scrivo dunque Sono. Trovare le parole giuste per vivere e raccontarsi" (pp. 205, 15 euro). Dalla sua Milano, ne parla in questa intervista. Quel che più mi colpisce, del libro, è la visione "terapeutica" della scrittura: imparare a scrivere, esercitarsi a farlo, non tanto per pubblicare, quanto per esprimere ed esprimersi.

«Parliamo e scriviamo per comunicare, per passare informazioni, ma soprattutto per farci comprendere. Siamo tornati alla scrittura anche attraverso il virtuale o le messaggerie dei telefonini. Scrivere ci obbliga a rallentare, a portare fuori da noi, ad allontanare e prendere le distanze dagli episodi difficili della nostra vita, e al tempo stesso ci avvicina agli altri. E' un atto catartico, ci calma. Per questo credo sia una forma di autoterapia alla portata di tutti».

Un percorso di conoscenza che passa per la coscienza di sé: il che vale a dire che una scrittura che voglia essere autentica – o etica, per dirla con Pontiggia – non lascia vie di scampo a chi voglia praticarla davvero. Nessun alibi, nessuna elusione, nessun compromesso…

«Per poter scrivere in modo consapevole è necessario prima di tutto sapere esattamente in che punto ci troviamo. Non possiamo mentire a noi stessi e quando ci proviamo arriva la scrittura a toglierci la maschera. Per questo conoscere le nostre parole, l'ideologico che sottendono, l'inespresso che racchiudono, è fondamentale. Lavorare per azzerare l'equivoco e l'ambiguità è anche un gesto etico, di rispetto verso gli interlocutori e nei confronti delle idee e delle storie. Ed è un atto politico, nel senso più alto del termine. Prendiamo sempre una posizione, meglio essere consapevoli di quale sia».

Anche se, in fondo, di compromesso ce n'è sempre uno, fondativo e a suo modo supremo: quello con la realtà, e con l'accettazione del limite conoscitivo che la realtà impone a chiunque la viva. Nessuno in fondo sa cosa sia, e quale sia, questa realtà, fisicamente e metafisicamente. Il protagonista di "Notizie dagli scavi" di Lucentini – e la parola scavo, in questo caso, diventa una metafora calzante – lo dice chiaro e tondo:
«Ma che poi chi lo sa chi eravamo, e tutto quanto che era».
 
«E' vero, ma allo stesso tempo, trasformando il mondo in parole, ne facciamo esperienza: perché ciò che non ha nome in qualche modo non esiste. Mettere nero su bianco allontana, ma al tempo stesso concretizza e disvela. Nella superficie della scrittura ci sono anche le radici profonde di chi l'ha prodotta, la sua storia, la memoria individuale e spesso anche quella collettiva».

La scrittura diventa allora un continuo confronto con un doppio limite: da un lato, quello del rapporto con la realtà data; dall'altro, quello con le possibilità della parola.

«L'aderenza al reale produce scritture d'indagine e di verosimiglianza, la fantasia e la costruzione di nuovi mondi ci permettono di avventurarci in luoghi e personaggi che vorremmo essere o che ci fanno paura. La parola in questo senso amplifica, determina nuovi spazi, supera confini e barriere, ci porta fuori dai contorni e da una forma usurata. Comunque nelle gabbie più strette possiamo trovare la libertà più grande, la nostra strada maestra, o semplicemente un percorso».

In ogni caso, possiamo metterla come vogliamo, scrivere equivale a fare un autoritratto…

«Tendiamo a riproporci quasi sempre, soprattutto nelle prime scritture, quando non siamo ancora consapevoli, poi con l'esercizio e l'esperienza è possibile maneggiare la distanza e trovare la giusta misura per raccontare le storie senza dover rinunciare a raccontarci».

Naturalmente il libro offre anche indicazioni sulle tecniche di narrazione in sé. Quali sono stati i criteri di selezione degli argomenti e di organizzazione delle pagine?

«"Scrivo dunque sono" è un libro emotivo, fatto di esperienze. Racconta una via possibile per imparare le tecniche della narrazione senza mai dimenticarsi di approfondire il significato empatico e di sintonia che le stesse potrebbero avere su chi ci leggerà. Esercizi pratici con esempi svolti si alternano a spunti di riflessione sulla composizione letteraria. Mescolo elementi di tecnica narrativa "ortodossa", come l'utilizzo della prima e terza persona, a punti di vista "angolari", come la parola sui campi di calcio o le figure retoriche applicate al movimento dei corpi. Quasi in tutti i capitoli propongo di svolgere un'esperienza pratica. In fondo al libro ho inserito anche una bibliografia irragionevole, dove consiglio manuali di scrittura convenzionali e testi che contengono prassi e pensieri originali sulle parole».

Ecco, questo è importante, e credo sia il pregio maggiore del libro. Che più che puntare sulla nuda tecnica della scrittura, punta sulla sensibilità alla scrittura. In fondo è una grande e variegata riflessione sulla necessaria intimità del rapporto con le parole, sulla capacità di ascolto e riconoscimento.

«Imparare ad ascoltare è il traguardo più difficile da raggiungere. Molti di noi sono convinti di essere aperti e democratici, ma in realtà lasciano entrare suoni dalle orecchie senza trattenere nulla. O meglio: prendono in modo selettivo solo le informazioni utili a confermare il proprio modo di ragionare. Ascoltare non significa per forza cambiare le nostre opinioni, ma è un'azione che prevede una disposizione elastica: quella di vestire i panni altrui. Solo così si può entrare in rapporto d'intimità con personaggi e parole, comprendere, riconoscere e identificare ruoli, atteggiamenti e modelli differenti da noi. Questo, alla fine, non può che provocare piccoli o grandi cambiamenti, ma ripeto, senza forzature e solo se desiderati. In realtà, dopo aver riletto questo libro, penso che una riflessione ulteriore potrebbe riguardare il nostro modo di essere lettori, sia di libri che di persone. C'è chi, dopo aver chiuso un libro, trattiene la storia, chi le parole, chi le atmosfere, chi gli stati d'animo e chi un corpo. La nostra capacità di ascolto determina la posizione che abbiamo nei confronti di ciò che scriviamo e leggiamo, e viceversa ».

Dopo diversi libri pubblicati, e con non pochi riconoscimenti ottenuti, che stagione creativa sta vivendo Elisabetta Bucciarelli?

«Alla fine di ogni libro scritto e pubblicato mi trovo a fare i conti con qualcosa che è mutato. La scrittura, efficace o meno, riuscita o imperfetta, passa dal corpo e quindi non può che generare una mutazione. Accolgo nuove sfide e sperimento in continuazione. Ho una storia che devo raccontare e molti incontri di parole. Mi sposto, sono in movimento anche quando sto ferma».

Il più recente noir, "Dritto al cuore", non ha lesinato soddisfazioni…

«"Dritto al Cuore" sta ancora facendo la sua strada. E' un libro di attese, parla di desiderio e di volontà. Ma è anche un episodio noir del mio personaggio seriale, Maria Dolores Vergani. E' tante cose insieme. Respira aria di montagna e al tempo stesso ritrova il passo della città. E' fatto di contrasti forti: vecchiaia adolescenza, silenzio rumore, luci ombre».
 
«Vicina all'anima è la linea verticale ». Suonano così i versi di Milo De Angelis in esergo a "Dritto al cuore". E sono versi straordinariamente vicini al senso di "Scrivo dunque sono".

«La linea verticale è un orizzonte faticoso da raggiungere, ma capace di concedere un'immensa soddisfazione. Oppure la linea bianca di un campo di calcio, dove le parole, a volte, riescono a muovere i corpi. Milo De Angelis è un poeta e la poesia, per me che sono ossessionata e affascinata dalle parole, è l'unica forma di scrittura - e lettura – necessaria».