Piccola osteria senza parole di Massimo Cuomo
Testata: Librerie Marco Polo
Data: 4 marzo 2014
Il racconto è ambientato in un piccolo paese, Scovazze, una specie di Macondo della pianura veneta, un posto mitico e immaginario, dove nessuno arriva, dove nulla cambia, i gesti sono sempre gli stessi, le parole non servono.
Il centro del paese è l'osteria, gestita da Gilda dalle grandi tette.
Scovazze, nome di paese inesistente, ha un significato chiaro: rifiuti.
Ed è a Scovazze che per caso arriva Salvatore Tempesta, un meridionale, un terrone come verrà chiamato dai locali.
Tempesta di nome e di fatto, il suo arrivo servirà a modificare per sempre la situazione del paese e dei suoi abitanti.
La storia è bella, a tratti commovente, scritta con ottima padronanza di mezzi, raccontata tramite tutti i paesani, con stacchi continui da uno all'altro perchè, alla fine, non c'è un protagonista ma è una storia corale.
Al di là della storia, questo libro mi ha colpito per l'aspetto universale che affronta: la comunicazione fra esseri umani.
Per l'autore, che si traveste da giovane avventore dell'osteria che scrive quello che succede, la comunicazione è sempre possibile, basta volerlo. Non esiste un unico modo: di sicuro Tempesta, il terrone, ha le parole e sa usarle. Tempesta possiede anche questo gioco, il Paroliere, che diventerà nel corso della storia un oggetto totemico. Ha le parole che gli abitanti di Scovazze non hanno. Ma più di questo ha l'empatia, la capacità di mettersi nei panni degli altri e con loro comunicare. E sa capire il linguaggio degli altri, fatto di silenzi, fatto di gesti, fatto di nulla.
Sarà proprio la comunicazione, verbale e non, che cambierà Scovazze: sarà Tempesta che farà vedere come le difficoltà che due persone trovano nel comunicare possono essere facilmente e con (molta) soddisfazione superate.