"La paura e altri racconti della grande guerra" di Federico De Roberto
Testata: Il Foglio
Data: 10 febbraio 2014
Il tenente Alfani è costretto a ordinare ai suoi uomini, uno alla volta, di andare a raggiugere un posto di vedetta esposto al fuoco micidiale di un cecchino austriaco. Il quale, uno alla volta, li fa fuori. Il capitano Evangelisti racconta di come ha ricevuto la generosa ospitalità di una famiglia che ha poi scoperto essere quella di un disertore impenitente, alla cui fucilazione ha appena assistito. Il sergente maggiore Giambattista Frascalani racconta di quando è stato catturato da un plotone di austriaci ma poi li ha convinti di venire loro ad arrendersi, spiegando di quali manicaretti sia composto il rancio dei soldati italiani. Il capitano Tancredi, dopo aver contribuito al difficile recupero della salma dell’eroico capitano Colombo, è mandato a comunicare la notizia alla vedova, e per avere sostegno nell’ingrato compito si fa accompagnare da un vecchio conoscente che ha ritrovato imboscato al ministero. Dopo poche settimane apprenderà con amarezza del matrimonio tra la consolabilissima vedova e l’imboscato. “La paura”, “Rifugio”, “La retata” e “Ultimo voto” sono i quattro racconti che l’autore dei “Viceré” e dell’“Imperio” pubblicò su giornali e riviste tra il 1919 e il 1923, e che vengono ora riproposti nell’avvicinarsi del centenario dallo scoppio della Prima guerra mondiale. Per dirla alla Borges, sono quattro variazioni sul tema della scelta (o dell’obbligo) di essere eroi. Il pluridecorato Morana che di fronte al terrore provocato dal cecchino preferisce spararsi in testa col moschetto. Il disertore che si era raccontato eroe nelle lettere alla famiglia. Il soldato di Sussistenza che ha avuto due decorazioni per imprese militarmente eroiche, ma è diventato famoso per la sua esilarante “retata” di nemici affamati. L’ufficiale che da morto è rimasto per mesi in piedi, mummificato su un reticolato a sfidare con la sua pistola in pugno il nemico, e che la vedova liquida come un idiota irresponsabile. “Tutto per la Patria, naturalmente!… Tutto per l’Italia… Come se non esistessero la famiglia, gl’interessi, tanti altri doveri”. La denuncia di menzogne e ipocrisie è la stessa delle grandi opere di De Roberto, ma non manca mai il rispetto per chi ha fatto il proprio dovere, in un difficile equilibrio che è poi quello dello stesso autore, passato dall’anti interventismo a un interventismo estremamente moderato. Così come è tipicamente “derobertiana” l’alternanza tra l’italiano e una miriade di dialetti, che segna uno stacco fortissimo tra il linguaggio degli ufficiali e quello dei subalterni, fino all’estremo dell’intero racconto che Frascalani fa alternando il romanesco all’imitazione del tedesco dei nemici. E’ l’inconfondibile cifra con cui un maestro del verismo continua a ritrarre in stile verista una realtà che proprio il grande rimescolamento provocato dal conflitto mondiale sta per superare. Nell’introduzione, Antonio Di Grado spiega che “De Roberto non sembra andar oltre l’illusione di un recupero di un mandato sociale e di una funzione pedagogica: né pare voglia leggere gli eventi bellici altrimenti che dal punto di vista della classe dirigente e dei comandi”. Ma proprio in questi racconti bellici il verismo si trasfigura. La tragica e primitiva ostinazione del “vinto” Morana è la stessa di Rosso Malpelo. Il cinismo della vedova di Colombo è lo stesso della razza padrona dei “Viceré”. Ma l’eroe per caso Frascalani è sia il ricordo di Pulcinella sia l’annuncio di Alberto Sordi. I soldati sono gli stessi di Lussu e Jahier. L’orrore della guerra proclamato nell’attacco del racconto che dà il titolo alla raccolta rimanda a “Cuore di tenebra” di Conrad o a “Terra desolata” di Eliot, mentre i cadaveri dissepolti dal gelo dell’“Ultimo voto” potrebbero stare in “Kaputt” di Malaparte.