Cuomo e quel mistero tra Veneto e Friuli
Autore: Tono Galla
Testata: Il Piccolo
Data: 3 febbraio 2014
Lo spazio della narrazione del nuovo romanzo di Massimo Cuomo, "Piccola osteria senza parole" pubblicato dalle Edizioni e/o, è la zona dove il Veneto diventa Friuli. E viceversa. Più precisamenteun paese il cui nome la dice lunga: Scovazze. La storia inizia nelle settimane del 1994 in cui si svolgono negli Usa i mondiali di calcio le cui partite sono il filo che lega i personaggi che si ritrovano, davanti alla tv, nell'unica osteria del paese: il "Punto Gilda" dal nome della procace proprietaria, fresca vedova, nel cui abbondante decolleté tutti gli avventori cercano di sbirciare. Nel paesino, soffocato dal tanfo che proviene dall'allevamento di tori "Taurizoo", arriva uno "straniero" a bordo di una Ritmo cabrio che, in seguito ad un tragicomico incidente, piomba in un fossato. L'uomoSalvatore Maria Tempesta, tarchiato, occhi verdi, vaga somiglianza con Maradona, chiaramente meridionale, anzi terrone com'è subito etichettato, si insinua nella vita degli avventori del Punto Gilda. É arrivato con pochi bagagli e uno strano gioco di dadi "il paroliere" che serve acomporre parole. Nessuno sa chi sia, perché sia capitato a Scovazze dove «ci arrivi per caso, per errore operuna specie di missione» che è, appunto, come svela il finale a sorpresa del romanzo, il caso di Tempesta. Il "Punto Gilda" già "Ombre Rosse" prima della scomparsa di Francone marito dell'ostessa, è il palcoscenico sul cui sfila una galleria di personaggi surreali, abituati ad esprimersi con poche, smozzicate, frasi in dialetto e non poche bestemmie e ad inseguire sogni impossibili. Carnera, un gigante che di notte lavora in fabbrica, di giorno nei campi e non dorme mai, e che non riesce a dire una frase intera né una parola di più di quattro lettere è affascinato dal "paroliere". Lo sono anche i fratelli Sorgòn che trascorrono ore a comporre parole solo in dialetto mettendo in palio, come vincita, i boeri esposti sul bancone dell'osteria. Costantino Paneghél, detto l'avvocato, in realtà, vestito di tuta arancione e munito di paletta rosso-verde, dirige il traffico dove ci sono lavori in corso sognando di fermare la donna che si innamorerà di lui. E poi c'è Malattia, al secolo Francesco Perini, spelacchiato e mingherlino, un tempo raccoglitore di sperma da riproduzione alla Taurizoo e poi sgozzatore di polli nel vicino allevamento. Malattia concluderà con successo la sua marcia di avvicinamento al cuore (e al corpo) di Gilda sostituendosi al marito. Il finale di questa storia, scritta con piglio rapido e, soprattutto, ironico, svela il mistero spiazzando il lettore e apre uno squarcio sulla facciata del Nordest "ufficiale" illuminando una raccapricciante realtà.