La giostra del piacere - Eric-Emmanuel Schmitt
Autore: Elisabetta Bolondi
Testata: Sololibri.net
Data: 16 gennaio 2014
La giostra del piacere (e/o, 2013) è un romanzo interamente ambientato in un’unica piazza, al centro di Bruxelles, ai nostri giorni. La piazza è intitolata a Guy (Guido) d’Arezzo, il grande musicista italiano noto per aver inventato le note musicali come oggi le conosciamo, mentre un concerto di parole e gridi, versi e stridii si susseguono sugli alberi dove da anni vivono decine di pappagalli e cocorite, che hanno fondato una sorta di colonia dopo che molti anni prima un console brasiliano che collezionava quei pennuti li aveva liberati alla sua partenza. In mezzo alla piazza c’è un giardino, tenuto in ordine da Hyppolyte e Germain, due impiegati comunali, il primo bellissimo, il secondo deforme…
Da qui facciamo partire la storia che coinvolge tutti gli abitanti le cui case sono affacciate su Place d’Arezzo e che l’autore, nei lunghi e numerosissimi capitoli del romanzo, segue passo passo raccontandone la storia amorosa, erotica, sentimentale, e mettendo i lettori in grado di venire a conoscenza dei più reconditi segreti dell’intimità di personaggi provenienti da tutte le classi sociali e le condizioni familiari, anagrafiche, sociali, economiche, politiche di un grande numero di persone che finiscono per rappresentare metaforicamente l’intera società occidentale così come si presenta al centro della capitale d’Europa. Il pretesto narrativo di cui l’autore si serve per la fabula del lungo romanzo è un biglietto scritto su carta gialla che tutti i personaggi coinvolti nella narrazione ricevono quasi contemporaneamente, su cui a mano qualcuno ha scritto:
”Questo biglietto solo per dirti che ti amo. Firmato: tu sai chi”.
Tutti quelli che ricevono il biglietto giallo equivocano sul mittente, ciascuno di loro crede di sapere chi abbia scritto e in base a quel messaggio si scompongono e ricompongono storie amorose, alcune con un felice lieto fine, altre più drammatiche.
Molto difficile raccontare tutte le storie, descriverne i protagonisti che Schmitt mette in scena:
il potente Commissario europeo, uomo politico, economista di fama, donnaiolo impenitente, messo a nudo e ricattato per uno stupro ad una cameriera da una artista americana arrivista ed egocentrica, storia che ricalca nelle modalità la vicenda Struss-Khan se non addirittura quella celebre di Bill Clinton;
l’aristocratico banchiere Maxime de Couvigny, irreprensibile marito e severo padre, moralista all’eccesso, che nasconde la perversione di andare in cerca di giovani uomini che adesca ogni mattina nel Bois de La Cambre prima di giungere in Banca;
il celebre romanziere alla moda, Baptiste Monier, innamoratissimo della moglie Joséphine, che finisce per accettare uno scandaloso ménage à trois quando lei si innamora della bella Isabelle;
la coppia di omosessuali poco fedeli che non vogliono vivere insieme e rifiutano il matrimonio gay;
la fioraia Xavière, stanca del matrimonio con un anziano stravagante marito trova conforto, solo temporaneo, fra le braccia di una donna, l’eterea sposatissima Séverine.
Erotismo etero e omo, scambi di partner e perversioni si alternano a storie più semplici, ad esempio quella tra la grassa ed invecchiata Patricia e il bel giardiniere Hyppolyte, o a quella tenera tra Albane, quindicenne figlia di Patricia e il coetaneo Quentin, aristocratico ragazzino in cerca di sicurezze. Molto bella la storia d’amore tra la zitella Mademoiselle Beauvert, che ama il suo pappagallo Copernico, e dopo aver perso tutta la sua agiatezza al tavolo da gioco, ritroverà la voglia di vivere solo dopo aver riavuto il pappagallo che le era sfuggito. La grande capacità di scrittura, unita ad una padronanza della pur vastissima materia del racconto, rendono questo romanzo di Schmitt davvero una giostra, dove le storie, anche le più imprevedibili e scabrose, si susseguono con un ritmo incessante, mettendo a nudo intimità, sensazioni, tabù, paure, inadeguatezze, identità sessuali indefinite, senza mai trascendere né valicare i limiti di un buon gusto che la scelta di termini e gesti rendono verosimili e accettabili pur nel paradosso di certe situazioni descritte con crudo realismo.
Tra i molti romanzi di Eric-Emmanuel Schmitt dò la mia preferenza a “La donna allo specchio”, per la sua architettura perfetta, tuttavia ritengo che questo sia un romanzo necessario per raccontarci senza ipocrisie come siamo e soprattutto come si presenta l’attuale società europea, con troppe paure, troppe incertezze, troppe fragilità che rischiano di metterne in crisi la stessa unità così difficilmente perseguita. Schmitt intende dirci che il modello sociale, la libertà sessuale, l’agiatezza economica che Bruxelles, capitale al centro del continente intende rappresentare, è a forte rischio: l’unica speranza sembra essere affidata ai giovanissimi, alla coppia Albane/Quentin e forse, ancor più, alla ragazzina di dieci anni, Isis, figlia del giardiniere, lettrice accanita e romanziera in erba: attraverso i suoi occhi innocenti forse c’è una possibilità di riscatto e di salvezza, forse c’è ancora una forma di innocenza e di fiducia che rendono il futuro di tutti noi meno nero di come troppe pagine del libro ci hanno suggerito.