Firmato: tu sai chi
Autore: Marina Petruzio
Testata: Luuk Magazine
Data: 26 novembre 2013
Con “La Giostra del Piacere” Eric-Emmanuel Schmitt – fresco vincitore del premio Minerva all’Uomo – ci introduce a passo di danza in un crescendo di intrecci e colpi di scena, in uno sconcertante spaccato di società contemporanea dove il valore, qualsiasi esso sia, ha una connotazione che si smarrisce tra le pieghe di un lenzuolo, nel letto di terze persone che al mattino o l’attimo dopo non si riconosceranno o si ignoreranno.
È una mattina di sole quella in cui capitiamo in Place D’Arezzo, scegliamo una panchina, soleggiata ma non eccessivamente esposta, un po’ defilata affinché il nostro sguardo possa abbracciarne in toto la bellezza: le aiuole, il giardino sapientemente curato – ma non solo – da un capace giardiniere.
Gli esotici pappagalli, si dice liberati da un console brasiliano molto tempo fa e che ora la popolano e la animano, la babele dei loro suoni, versi, linguaggi differenti.
Le nobili e borghesi abitazioni che vi si affacciano.
Un’umanità diversamente variegata assieme ai variegati pappagalli rendono vivace e chiassosa la nostra permanenza.
É solo molti giorni dopo che ci alziamo per andarcene, scuotendo dai nostri abiti briciole di innumerevoli pasti consumati osservando ed anche un po’ di più: i suoi abitanti, e sono tanti, coi loro linguaggi vocali e corporei differenti, dall’esistenza solo apparentemente tranquilla. Le loro menti perverse, romantiche, tribolate, deboli, calcolatrici… ingenue.
Le persone sono molte, vivono in coppie o da sole, ognuno per conto proprio in qualsiasi caso. Scopriremo che l’ordito lavora una delle tele più complesse che lentamente un antico telaio dipana, mostrando strappi e buchi, annodando esistenze distanti, rapporti impossibili. Scopriremo che come in un paese i personaggi che la popolano si conoscono tutti, interagiscono, hanno vite che si intersecano o che si rincorrono. Il sesso il trade d’union.
Accanto a noi qualcun altro osserva con occhi decisamente differenti, celato tra gli alberi, ad un’altezza dalla quale per guardare devi alzarti in punta di piedi. Per studiare questo pezzo d’umanità complessa che fatica a chiarirsi, a dichiararsi ad usare il sesso in modo differente, non solo come appagamento fisico o bisogno impellente, non per sé stessi o alla ricerca di un limite che non arriva mai, ma per amore.
Quindici coppie tra gay, lesbo, amanti, mantenute, menage a trois, difficili rapporti madre-figlio, figlia-madre bambina, un travestito, vizi di famiglia, gioco d’azzardo, sessualità frustrate, descritte in dialoghi dove solo alla fantasia del lettore è lasciato lo spazio per immaginarne i volti.
Così la vediamo perfettamente la borghese Severine: appoggiata al colonnato d’ingresso della sua casa salutare una mattina irreprensibile marito e figliolanza, li vediamo tutti, biondi, esteriormente curati. Lei con un taglio a carrè, i biondi capelli trattenuti da un cerchietto in seta beige come l’abito – sicuramente un Chloè ultima stagione -, un moderato gesto di saluto della mano ci induce a pensare ad una moderata affettività.
La tela è precisa, quasi fiamminga, ma mai esplicitata.
La vita corre senza domande consumata nel tentativo di appagar sé stessi.
Sino a: “Questo biglietto solo per dirti che ti amo. Firmato: tu sai chi”, una lettera anonima su carta avorio recapitata a mano.
E la vita cambia, i vicini non si sorpassano più, si avvicinano sino a toccarsi.
La trama si infittisce e la tela si srotola, scoprendo inaspettate virtù.
In ognuno l’anonimo scrittore di questa lettera che scioglie gli animi, porta ad una riflessione, pone un prima ed un poi.
Si tratta solo di capire, ora, di chi è quell’occhio attento, quella mente sensibile e la logica inopinabile che la muove.
Buona lettura.