L'indagine sull'amore, la rabbia e altri demoni di Elena Ferrante
Autore: Paolo Mauri
Testata: La Repubblica
Data: 6 novembre 2013
Elena Ferrante, anche per il mistero che la avvolge, sta diventando un mito: i primi due volumi de L'amica geniale hanno conquistato la critica internazionale, dunque l'ultimo e conclusivo volume era molto atteso. E non deluderà i lettori: la passione nel narrare è la stessa e insieme l'impressione di una inarrestabile eruzione dell'anima. Quando si apre il terzo e ultimo volume che racconta la storia di Lila e di Lenù, anzi, come recita il titolo la Storia di chi fugge e di chi resta, siamo nell'anno 2010. Elena Greco vive a Torino e guarda l'acqua passare sotto i ponti del Po: l'ultima volta che ha incontrato Lila a Napoli era il 2005. Ha rivisto l'amica invecchiata e trascurata, con i capelli bianchi e la durezza di sempre nel volto e nei modi: non ha avuto una vita facile. Qualcuno avverte le due amiche che in una aiuola poco lontana c'è un cadavere: vanno a vedere, è quello di Gigliola, una loro ex compagna. Grassa, in disordine, i capelli rossi, è quasi irriconoscibile. Chi l'avrà ammazzata? E Il fatto è che il quartiere, o meglio il rione come lo chiamano loro, non ha perso affatto con il passare degli anni la torva carica di violenza che da sempre lo contraddistingue: la sopraffazione e la legge del più forte dominano la vita di tutti, anche con il mutare delle generazioni e l'alternarsi delle fortune. Elena si rende conto che non è Napoli a essere marcia e che non basta andare via perché tutto cambi. Lila, che ha un intuito molto raffinato, capisce che l'amica sta pensando a tradurre in scrittura la loro storia e la storia del rione e la diffida: non ci provare, noi dobbiamo sparire. Soprattutto non ci provare con me. Scrivi di Gigliola e degli altri, ma non di me. Ecco, sono passati cinque anni da quell'incontro, Lila è scomparsa e di lei non si sa più nulla. Elena non sa neppure bene se pensarla viva o morta: però adesso scrive e scrive, riandando con la memoria a quella serata di quarant'anni prima, quando il suo libro, presentato in una libreria di Milano era stato attaccato da un vecchio signore, che poi avrebbe saputo essere un critico che scriveva sul Corriere della Sera ed era stato difeso con grande forza da Nino Sarratore, suo amico d'infanzia da sempre segretamente amato, comparso come per incanto a Milano dove stava facendosi strada all'Università. Siamo nel pieno delle lotte studentesche, delle rivendicazioni operaie, delle rivolte femministe: il mondo è in fermento e la violenza dilaga. I vecchi partiti non sanno adeguarsi e nascono a ripetizione gruppuscoli e movimenti, fino alle formazioni clandestine delle Br. Questo solo per accennare al clima nel quale si trova a vivere Elena, ormai considerata una scrittrice e protetta dalla famiglia Airota nella quale sta per entrare sposando Pietro, professore universitario di latino, anzi cattedratico di ruolo a soli venticinque anni, per meriti paterni, dicono i maligni. In realtà il romanzo non si può (non si deve) raccontare: servirebbe solo ad accorciare la vita di Elena e di Lila, che continuano a specchiarsi l'una nell'altra anche se vivono lontane e in modo assai diverso. Lila campa in modo infame, lavora in una fabbrica di salumi dove lo sfruttamento e il sopruso sono la norma. Ha un figlio, Gennaro, che forse è di Nino Sarratore, con il quale si è messa dopo aver lasciato il marito. Elena sta ora a Firenze, non fa quasi nulla, diventa madre una prima e poi una seconda volta, ma il rione di Napoli da cui proviene, quello che le ha dato un imprinting incancellabile, è come se fosse in agguato, un fuoco in apparenza domato, ma mai estinto. Possiamo dire che le storie di Elena e di Lila rappresentano un'indagine serratissima sull'amore: su quanto possa essere (per usare un aggettivo caro all'autrice) molesto e acuto un sentimento che si mette di traverso, che esalta e insieme complica le cose, distrugge ed edifica, scompiglia vecchie alleanze e ne ripropone di nuove. Ma sono anche, queste storie, un tentativo di capire la realtà femminile, sulla quale Elena riflette a lungo, persino scrivendo un piccolo saggio, perché ha bisogno di vedere controluce se stessa e le scelte spesso estreme che si trova a compiere. La Ferrante racconta il travaglio di Elena dal di dentro e la scrittura scorre via velocissima come il pensiero, densa di interrogativi, di spasimi, di paure, di catastrofi annunciate o evitate. La tensione è spesso al diapason, come del resto era accaduto anche nei due libri precedenti de L'amica geniale, e le vicende si intrecciano in modo sorprendente. Specie se riguardano il rione e i suoi abitanti: che continuano ad ammazzarsi tra di loro in una faida che non conosce fine ma anche a desiderarsi, in un intreccio di storie, tradimenti, matrimoni senza amore in cui Lila, soprattutto, ed Elena sono coinvolte anche se non sempre direttamente. Ha avuto un senso fuggire? Ha avuto un senso cercare scampo presso altre tribù umane, più civili, più ricche e potenti? Quando descrive i sapienti, la Ferrante ha sempre un occhio (eccessivo) di riguardo. Della madre di Pietro, Adele, fa una specie di deus ex machina, sempre pronta ad aiutare Elena, a trovare la soluzione giusta per ogni cosa. Ma è molto più credibile e incisiva quando parla della madre di Elena: aggressiva, possessiva, perennemente sul piede di guerra e pronta a mandare la figlia a quel paese se la scoccia con una domanda inopportuna. Sì, lì vedi scorrere la vita, con tutti i suoi imprevisti e in questo la Ferrante resta una narratrice molto originale. Ci sono scene di gruppo nella Storia di chi fugge e di chi resta veramente memorabili, come il pranzo nella casa di Elisa, la sorella minore di Elena, dove convergono i maggiorenti del rione ostentando tutta la volgarità delle loro ricchezze e dei loro modi di fare. Ma memorabile soprattutto resta il ritmo di queste pagine, ora lento e ora velocissimo, che restituiscono il flusso vitale con la stessa naturalezza con cui batte il cuore o scorre il sangue nelle vene.