In un romanzo che sa molto di cronaca, la storia di una ragazza iraniana (e di sua madre) in fuga verso la Francia. Su tutto la passione per il pallone, affinata in patria, che diventa l'occasione per parlare di cose molto più impegnative: amicizia, razzismo e solidarietà
Davanti a me e alla mia nuova amica sedici incapaci seguono un pallone, in uno dei campi di calcio più sgangherati che abbia mai visto. Due lati del campo coincidono con il muraglione di cinta, su cui è montata una rete che impedisce di scavalcare ma che torna utile anche per evitare che la palla esca in strada. Una porta è disegnata con il gesso nel pezzo di muro più corto, laltra, in mezzo al piazzale, ha invece come pali due segnali stradali e per traversa un filo per stendere. Uno dei cartelli è quello di senso vietato, il che mi pare un ottimo auspicio. Preoccupante la precisione cronistica dellautore, a suo tempo presidente di Amnesty International Italia (e ora direttore delle comunicazioni di ActionAid), uno al quale, evidentemente, piace il calcio. Ma alla sua maniera, come già aveva fatto con Diritti in campo-Storie di calcio, libertà e diritti umani, un viaggio tra Argentina, Brasile, Romania, Jugoslavia, Sierra Leone, Iran, Ruanda, Congo, Russia e Italia. Paesi diversi, lontani, per raccontare un calcio inedito: otto storie di resistenza e di ribellione, dove i temi della libertà e della difesa dei diritti umani si intrecciano con famosi eventi calcistici. Preoccupante, dicevamo, perché in questo libro, a cominciare dal titolo, si parla molto di calcio, anche se il calcio diventa solo il mezzo per raccontare di cose più serie, visto che Centro permanenza temporanea vista stadio è la storia di due donne iraniane, la giovane Sharmin e la madre, dirette in Francia nella speranza di poter riabbracciare il padre, esiliato a Lione. Le due donne, però, devono prima sperimentare sulla loro pelle la reclusione (anche se il termine burocraticamente ufficiale dovrebbe essere ospitalità) nel Cpt (Centro di permanenza temporanea) di Orbassano.
PASSIONE - Ma Sharmin una fanatica del calcio al pari di tantissime altre donne in Iran (sorpresi?) vive la drammatica situazione anche come un'opportunità: quella di conoscere il paese dei campioni del mondo e delle superstelle come Totti. Scoprirà un universo dominato da una passione che ben presto la contagerà, ma comunque molto diverso da quello che si immaginava. La storia di Sharmin si intreccia con quella di Lucia, avvocatessa interessata ai temi dell'immigrazione. Anche lei considera Torino come una tappa nel suo percorso di vita sebbene, al contrario di Sharmin, non abbia affatto chiara la sua destinazione finale. Coriandoli di una vita difficile che Daniele Scaglione, tifoso del Toro, fa ruotare attorno a diversi appuntamenti calcistici. Tutti immaginati dentro lanima di un romanzo che è però cronaca degli ultimi anni. Una ragazza iraniana appassionata di calcio? Certo. A cominciare da quella partita, vista in tv, del Mondiale 98 in Francia (21 giugno), giocata, guarda un po, proprio allo stadio Gerland di Lione, in cui lIran battè Satana, pardon, gli Usa per 2-1. E poi la festa, e che festa!, dell8 gennaio 2003 (qui un po di cronaca laggiungiamo noi) quando a Teheran, il Peykan (significa "freccia" in farsi, la lingua iraniana), ospitava il Barq di Shiraz, e il manager del Peykan ottenne che un gruppo di donne potesse assistere alla partita, sia pure in un settore distinto e riservato. Fondamentale per quella iniziativa sembra sia stato il fatto che i tifosi del Peykan da dove, poche settimane fa, è scappato lex interista Taribo West che voleva fare anche il predicatore , non usassero un linguaggio scurrile. Sharmin cera a quella partita - Una cosa incredibile: ero entrata in uno stadio della Repubblica Islamica dellIran, seduta sulle gradinate a vedere una partita di calcio!) -, così come la passione si gonfiò grazie alla televisione satellitare: Abbiamo visto Beckham passare dal Manchester al Real Madrid. Henry arrivare allArsenal, Ronaldo spaccarsi la gamba e gonfiarsi come unoca allingrasso, una squadra di sfigati ceceni vincere la coppa di Russia, la Grecia dare una ripassata a tutti gli squadroni europei, il portiere del Portogallo segnare un rigore, Ronaldinho giocare divertendosi come un matto.
TORINO DallIran, dove uno dei giocatori più ammirati era Ale Del Piero, alla grande fuga. Fino allItalia, fino a Orbassano. Per un'altra fuga ancora più grande, una domenica pomeriggio, per andare allOlimpico (ma comè piccolo!, nello stadio di Teheran ce ne stanno dieci di campi così ) a vedere i granata perdere contro la Roma dellidolatrato Francesco Totti. Anche qui, sino alla conclusione positiva della fuga di Sharmin e della mamma verso la Francia (scontato?) solo loccasione per parlare daltro: unavventura in cui, col pallone, si mescolano razzismo, crudeltà della burocrazia e solidarietà femminile. E cronaca giornalistica. Quella che La Stampa (secondo il romanzo) racconta per unaltra fuga dal Cpt: in 7, poi presi dai carabinieri e riportati a Orbassano malconci, dopo una tappa al pronto socorso, manche fossero finiti su uno dei voli segreti della Cia. E in ogni caso dice Sharmin tra le righe del suo romanzo , a chi può fregare qualcosa di un Centro di permanenza temporanea in provincia di Torino (con annesso sgangheratissimo campo di calcio), dove stanno al più un centinaio di sfigati? Altro che calcio, altro che Totti, Del Piero o la Curva Maratona. Quello che Daniele Scaglione, con la scusa di un pallone, vuole dirci davvero è lì. E in un certo senso, quasi intuisse la nostra curiosità, ci frega proprio allultima pagina. Nella bibliografia, addirittura dopo i ringraziamenti. A Orbassano non esiste alcun Cpt. Ma nel resto dItalia, Torino inclusa, vi sono almeno una ventina di centri di permanenza temporanea, centri di accoglienza, centri di identificazione. Sono strutture nate dalla strana idea che se qualcuno arriva nel nostro paese con documenti irregolari o scaduti merita di essere rinchiuso. Lospitalità è unaltra cosa. Ben venga il calcio, se serve per dirci anche queste cose.