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Alcazar, i gay al tempo del fascismo

Autore: Davide Di Poce
Testata: Nerd Magazine
Data: 14 ottobre 2013

Giulio Ferroni in Scritture a perdere. La letteratura negli anni zero. (Laterza, 2010) parla di un’“ecologia” del mondo dell’editoria, che si danna pubblicando libri su libri, tutti più o meno uguali, con storie trite, spesso di bassa qualità.

Invece l’ultimo libro di Stefania Nardini, Alcazar, ultimo spettacolo (edizioni e/o, 2013, pp. 256, 16,50 €), si fa riconoscere per la qualità e l’originalità: se è vero – come obietterà qualcuno – che è quasi impossibile inventare nuove storie, certamente la strada di Nardini è una di quelle meno battute.

Nardini immerge il suo racconto in una Marsiglia decadente, tra incubo e voluttà, risalendo fino al 1939. Napoletani, siciliani, piemontesi fuggono dall’Italia fascista. Le leggi razziali erano entrate in vigore con il regio decreto del 1938 e tutti quelli colpiti erano alla ricerca disperata di una via di scampo. È a questo punto che il racconto di Nardini si fa originale e si carica di valenze politiche extra-testuali. La fuga non è solo degli ebrei, ma anche di Gino Santoni, in arte Cordera, attore gay napoletano che si esibiva en travesti, con abiti femminili: ogni sera si trasformava in una drag queen. Gino, insieme alla sua compagnia teatrale e alla sua amica del cuore, Silvana Landi, capocomico, va a Marsiglia per mettere in scena uno spettacolo, Pioggia di stelle, all’Alcazar, il mitico teatro dove si sono esibite le più celebri stelle del varietà. Qualcosa, però, turberà il normale svolgimento delle repliche e allora Gino sarà costretto davvero a scappare via, il più lontano possibile, a nascondersi.

Nardini grida a gran voce una cosa che sanno in molti, ma non tutti,  cioè che furono perseguitati dal fascismo (come dal nazismo) non solo gli ebrei, ma anche gli omosessuali: «Lo slogan delle camicie nere era fin troppo chiaro: “Per il bene della razza al confino il pederasta!”. E bastava un qualsiasi poliziotto per procedere agli arresti a suon di manganello. Si trattava in realtà di una persecuzione anomala. Neanche il codice penale fascista, il cosiddetto Codice Rocco, prevedeva che gli omosessuali andassero puniti. Ma bisognava adeguarsi all’alleato tedesco che in Germania, dopo aver aperto la caccia, completava l’operazione con l’internamento nei lager e la condanna a morte» (p. 13). Una scelta del genere non solo contribuisce a rendere più interessante l’intreccio e dà un’informazione non per tutti scontata, ma assume anche un valore politico nell’Italia del XXI secolo, dove chi vuole è libero di perseguitare gay, lesbiche e bisessuali, (per non parlare delle persone transessuali), per il fatto di essere tali, con atti di violenza verbale o fisica, senza nessuna conseguenza penale. Inoltre persecuzioni simili a quelle raccontate da Nardini, sono ancora oggi perpetrate in alcune zone del mondo: «Gli avevano raccontato che i poliziotti durante gli interrogatori eseguivano una visita anale per ottenere, diciamo così, delle prove». È notizia proprio di questi ultimi giorni che Yussef Mendkar, direttore del dipartimento della Sanità pubblica del Kuwait, ha deciso di sottoporre gli stranieri che intendono entrare in Kwait, a una visita medica, per verificare eventuali condotte sessuali «inappropriate» (Corriere della Sera, 8/10/2013).

Il ritratto che emerge di Gino è un po’ stereotipato, un poco lontano dalla complessità reale; è una rappresentazione dell’uomo gay ben nota, rassicurante: «Era così, non riusciva a nasconderlo. Piccolo, magro, le movenze avevano un che di femminile» (p.11), «Quel tipo effeminato le parlava col cuore» (p. 15). Ma nel racconto di Nardini non si parla solo di Gino; si parla anche di Alfred Morello, di Silvana Landi, il capocomico, che alla fine scopriamo essere la madre della scrittrice, come lei stessa dichiara nei ringraziamenti.

Stefania Nardini non è solo scrittrice, ma anche giornalista, attività iniziata a 18 anni. Ha scritto per molte testate, tra cui Il Messaggero e Il Mattino. In un’intervista ha affermato: «Se è vero che giornalisti come Buzzati o Izzo sono stati grandi romanzieri non è una regola che si può generalizzare. Il giornalismo è una confidenza con le parole, con i fatti, la scrittura richiede pazienza, sensibilità e umiltà. E’ un esercizio anche psicologico». A un certo punto della vita ha deciso di rifugiarsi nella sua casa di campagna in Umbria a leggere e scrivere. Oggi vive tra l’Umbria e Marsiglia.

Marsiglia si vede bene tra le pagine del libro, frutto di un’accurata ricostruzione storica: il Panier, il Vieux-Port, la Canebiere, i locali. Ma a sormontare le strade di Marsiglia c’è un cielo che ha le braccia spalancate: è l’amore materno della scrittrice per la città, l’amore che traduce la ricerca archeologica in poesia. Anche il precedente libro di Nardini era ambientato a Marsiglia, anzi, parlava proprio di un marsigliese, Jean-Claude Izzo, grande giornalista e scrittore morto nel 2000 e originario di Salerno, Jean-Claude Izzo, storia di un marsigliese (Perdisa Pop 2010): questa biografia romanzata le è valsa numerosi riconoscimenti.

Stefania Nardini sembra avere con Marsiglia lo stesso legame che ha Emma Dante con la Sicilia. Come Marsiglia nel lavoro di Nardini, la Sicilia emerge nel primo lavoro cinematografico di Emma Dante, Via Castellana Bandiera. Questa bellissima epopea tragica, infatti, si chiude con Constatazione, una poesia di Caproni che, nella sua luminosa essenzialità, sembra riveli qualcosa anche di Nardini e di Marsiglia: «Non c’ero mai stato. / M’accorgo che c’ero nato».