«D i modi calmi, con un'esteriore aspetto quasi di bonarietà, esatto osservatore delle pratiche religiose, estraneo, almeno apparentemente, da viziose tendenze». Con queste parole il Tribunale di Milano giudicò Antonio Boggia, il primo serial killer della storia italiana capace di assassinare, armato di scure, fra il 1849 e il 1859, quattro persone. Tre uomini e una donna che Boggia sostenne di avere «ucciso, scannato, smembrato e sotterrato» nei sotterranei della sua casa dislocata in Via Bagnera a Milano (che all'epoca era chiamata Stretta Bagnera per la sua caratteristica di budello collegante via Santa Marta a Via Nerino poco a ridosso di Via Torino).
Boggia dichiarò di essere stato spinto a compiere gli omicidi da voci che aveva sentito nella sua testa. Gli inquirenti però non gli dettero alcuna attenuante e lo condannarono alla morte per impiccagione. Anche perché già nel 1851 Boggia era stato processato per il tentato omicidio di Giovanni Comi. Il quale, sopravvissuto all'aggressione, lo aveva denunciato alle autorità. In quell'occasione la giustizia austriaca aveva inflitto all'uomo solo tre mesi di manicomio criminale e non aveva fatto ulteriori indagini su di lui, lasciandosi in qualche modo beffare dalle risate istrioniche e dal comportamento apparentemente schizofrenico da lui tenuto durante quel primo processo.
Ad illuminare il caso del terribile «Mostro della Stretta Bagnera» è un'avvincente noir storico intitolato L'estro del male (Edizioni e/o, pagg. 336, euro 18; in uscita il 28 agosto) e scritto da Alberto Paleari. Il romanzo mostra nel dettaglio come non fosse stato il semplice destino, o una personalità segnata da traumi, a trasformare Antonio Boggia in uno spietato assassino. Non furono violenze sessuali o di altro tipo subite da piccolo a portarlo sulla cattiva strada, bensì un forte desiderio di rivalsa economica nei confronti delle persone aggredite.
Paleari è abilissimo nel mostrare in apertura il raccapriccio provato dagli operai che furono costretti dal tribunale a scavare e dissotterrare i resti delle vittime seppelliti nel magazzino della casa del serial killer situata nella Stretta Bagnera. Quindi illumina la pietà dei carcerieri che procurarono del rum al condannato a morte prima dell'esecuzione, il desiderio di perdono del sopravvissuto Giovanni Comi nonché lo stupore di quei dottori che sezionando il cranio del defunto Antonio Boggia non riscontrarono anomalie nella sua anatomia.
Scopriamo leggendo il libro che il futuro serial killer fin da ragazzo aveva una passione speciale per assassinare le lucertole e osservare come la vita si spegnesse in loro. Spiamo, pagina dopo pagina, l'ascesa sociale di Boggia che diventa muratore, carpentiere, imprenditore edile, amministratore, marito e padre integerrimo. Osserviamo le sue azioni attraverso gli occhi dei testimoni, i quali raccontano il vero «estro» che portò Boggia a impugnare scure e sega per fare a pezzi i cadaveri di quattro persone trasformandolo nel «Mostro di Milano». Di questa sua singolare attitudine raccontò lo stesso Boggia agli inquirenti durante il processo quando dichiarò di avere invitato volontariamente la povera Ester Maria Perrocchio a seguirlo per poterla poi derubare: «Successe che alla mattina discorremmo della guerra. Contrastavamo fra noi: vincevano i tedeschi, i francesi o i piemontesi? Eravamo presso il piccolo uscio che mette nel solaio, ch'ella teneva per suo uso. C'era una scure e una sega. Lì mi saltò un estro: d'un tratto presi la scure e la vibrai con tutta la forza sulla testa della Perrocchio».
Boggia, dopo un attimo di confusione, aveva ripulito il sangue, trascinato il cadavere nella stanza. E si era addormentato.