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I siciliani oltre Camilleri: Maugeri, Rizzo, Zanghì tre autori per una "nuova" Sicilia letteraria

Autore: Paolo Di Paolo
Testata: L'Unità
Data: 7 luglio 2013

La letteratura italiana senza i siciliani non sarebbe la stessa. è difficile pensare alla nostra tradizione di scrittura senza tener conto, alle origini, della scuola poetica siciliana e, tra otto e novecento, ad autori come Verga, Pirandello, Brancati, Vittorini, Sciascia, Tomasi di Lampedusa. Sarebbe un paesaggio snaturato, quasi incomprensibile. E oggi? Oltre al prolifico Camilleri, che letteratura si fa sulla Sicilia? Che letteratura fanno i siciliani? È interessante notare quanto sia presente il paesaggio siciliano in romanzi che da esso traggono il clima della narrazione (Simonetta Agnello Hornby, Emanuela E. Abbadessa), la temperatura emotiva. Per altri autori il discorso si fa più complesso, e il paesaggio diventa un problema. Il problema. È proprio infastidito dall'«effetto isola»
- fin troppo riconoscibile e stereotipato - che Massimo Maugeri inventa, nel romanzo Trinacria Park, un allarmante parco a tema, una Disneyland sicula di 22mila ettari, un regno fatato ma non troppo, che dovrebbe rilanciare nel mondo l'immagine della Sicilia. Come? «L'identità dell'isola viene messa in mostra in un generoso concentrato di splendore. È suddivisa in nove sotto aree, una per ogni provincia. In ognuna di queste sono ricostruiti in miniatura i monumenti più importanti e le piazze più belle di ogni città. O quantomeno di quelle più meritevoli da un punto di vista turistico. In tal modo il visitatore può farsi un'idea generale delle meraviglie storico-architettoniche della Sicilia». Il godibilissimo romanzo di Maugeri propone in realtà un'amara metafora, anzi una matrioska di metafore. Cos'è «Sicily Land»? Un surrogato di Sicilia? O forse la verità più profonda di una certa (troppo stereotipata) Sicilia? E l'epidemia che a un certo momento miete vittime nel parco a tema, che cos'è? Di quale malattia ci sta parlando Maugeri? «Nei pensieri di Gregorio Monti questa terra non è null'altro che il corrispettivo di una donna stuprata dal branco, presa a calci e poi abbandonata nell'angolo più buio di una strada mal frequentata ». «Sicily Land» è l'invenzione volta a coprire
- con una mano di kitsch turistico - il peggio dell'isola? O la Sicilia è anche «Sicily Land»? Con una trama ben congegnata e personaggi buffi - solo in apparenza caricaturali, grotteschi
- Maugeri ci accompagna in una tragedia in forma di farsa più corrosiva di qualsiasi pamphlet. Attraversa diversi generi - il giallo (Dieci piccoli indiani?), il pulp - e li rimodula, li mescola, li confonde per arrivare a un finale non scontato. Che dà ragione all'epigrafe di Sciascia posta in apertura: «L'intera Sicilia è una dimensione fantastica. Come si fa a viverci senza immaginazione? ». Non dev'essere un caso che l'incipit del secondo romanzo di Giuseppe Rizzo, Piccola guerra lampo per radere al suolo la Sicilia, suoni così: «La Sicilia non esiste. Io lo so perché ci sono nato». Già nel sorprendente L'invenzione di Palermo, Rizzo, classe 1983, aveva dato prova del suo pirotecnico talento. Un'ironia a tratti giocosa, a tratti acre, attenuata da un fondo malinconico e molto serio. Come la «Sicily Land» di Maugeri è una finzione pericolosa, così la sequenza di «minchiate» che affliggono Lortica, piccolo paese (immaginario) vicino ad Agrigento, è l'origine di mali che richiedono una vera e propria «guerra lampo». Finzioni, menzogne infestano come pidocchi la Sicilia raccontata da Rizzo, il cui principale bersaglio sono i luoghi comuni. Da qui muove per uno spiazzante - ironico ma non troppo - j'accuse contro i siciliani letterati e la letteratura siciliana passata in proverbio. Il Gattopardo? Basta! Camilleri? «Camilleri è il male assoluto. Dovrebbero imprigionarlo e rileggergli tutti i romanzi di Montalbano fino a che non implori pietà. Bisognerebbe mettere mano alla pistola ogni volta che qualcuno dice della splendida decadenza e dell'irredimibilità di questo posto, come fanno Camilleri Pirandello Tomasi. Bisognerebbe appiccare il fuoco, incendiare tutto, cambiare i connotati toponomastici e geografici di quest'isola, togliere ogni punto di riferimento agli isolani e al resto del mondo». E poi, da dove ripartirebbe Rizzo? Da una zona del pensiero, dell'immaginazione più complessa, radicalmente opposta alle semplificazioni, a qualunque cliché. La sua Sicilia è un'invenzione alternativa, e passa tutta per via di una prosa elettrica, nervosa, accumulativa, improvvisamente lirica. Come se Consolo avesse letto Paolo Nori e si fosse dimenticato di essere siciliano e di essere Consolo, una cosa così. Ma è inutile cercare ascendenze, perché Rizzo ha una voce già molto consapevole e molto sua. Chiama in causa anche le questioni più drammatiche, non si sottrae, ma evita le strettoie dell'inchiesta, del reportage, del grido di dolore, del vittimismo. «Il solito problema di restare», e tutti gli altri: la mafia, il pizzo, le connivenze. La sua ironia è tutt'altro che un'arma spuntata: «La Sicilia, con la sua superficie di 25700 km quadrati è l'isola più grande del Mediterraneo, settima in Europa, quarantacinquesima nel mondo. Conta 5 milioni e 42781 abitanti, 196,15 km quadrati. Si parlano correntemente il siciliano e l'italiano. Il suo clima è caratterizzato da estati torride e inverni miti. La sua capitale è Palermo, la forma di governo è la Teocrazia, l'ordinamento religioso è quello cattolico, la moneta corrente è l'euro». LAGEOGRAFIAPUNTODIPARTENZA Come Rizzo, in questo romanzo bello, divertente e in fondo doloroso, parte dalla geografia (dalla negazione della geografia) e lì riapproda, così fa pure Sara Zanghì. Nel suo ultimo libro, Bronte, ci fa sentire la voce di una maestra siciliana, dagli anni cinquanta all'altroieri. Quasi mezzo secolo di storia privata e pubblica che passa per una serie di lettere indirizzate a un'amica. «Cara Anna, eccomi a Bronte, la cittadina che mi è stata assegnata come sede d'insegnamento alle scuole elementari. Situata sulle pendici settentrionali dell'Etna, ha un territorio molto ampio, esteso in verticale su un'altitudine che dai 300 metri della base, prossima al mare, arriva ai 3350 del cratere centrale...». Perché tanta precisione? Perché il paesaggio, bello quanto ingrato, sarà protagonista insieme ai personaggi. O forse più di loro. Non per idealizzarlo, ma per domandarsi come possa tanta bellezza produrre anche tanto tormento. Le lotte, le speranze dei contadini di Bronte dove si sono infrante? «Che delitto è stato, non mi stanco di dirlo, lasciare morire la riforma agraria!». E cos'altro è andato morendo, di lì in avanti? Zanghì racconta per tessere una storia privata mai al riparo dalla Storia, cinquant'anni non di solitudine, ma di partecipazione. La sua scrittura è veloce, concreta, talvolta ruvida, non vuole essere barocca, lussureggiante: anti-siciliana, in questo. Non c'è nemmeno il mare! Di questa intensa storia d'amicizia, forse anche un po' d'amore, fra donne, Zanghì rivendica nella nota finale l'autenticità: si tratta, scrive, di lettere ritrovate. Ma forse è una piccola finzione romanzesca, forse no. Il punto, tornando a Sciascia, è sempre lo stesso: «La Sicilia è una dimensione fantastica. Come si fa a viverci senza immaginazione?». È lì, lontano dal «luogo comune» che la si ritrova: più viva, perfino più vera.