Caro Tiziano,
“Ritorno a Delfi” è un romanzo doloroso, duro fin quanto una scrittura femminile può esserlo. In questo hai ragione, non ho nulla da ribattere. Del resto la tragedia è greca quanto me e inoltre non dimenticare che le sceneggiature e i racconti che ho scritto rappresentano pur sempre storie estreme, dense di un’umanità borderline, uomini e donne del sottosuolo di cui esploro l’anima fin nei suoi recessi più reconditi. Tutti personaggi che scagliati nel mondo con il loro fardello di colpe, cattiverie, meschinità e forse, nascosta in una tasca a scomparsa, un residuo di speranza. L’ennesima rappresentazione di una tragedia che attinge dal mito? Non lo so, certo che -come hai scritto bene tu- c’è del dolore in questo libro e, ciò nondimeno, è un libro che viene letto perchè, mi scrivono i lettori, non si riesce a staccarsi dalla lettura finché non si arriva alla fine. Eppure ci ho scritto delle cose quasi inenarrabili, per palati forti… è l’atto finale o, come è stato detto, la resa dei conti tra Vivì Cholevas e il figlio Linos. Vivì è una vedova di cinquantadue anni e Linos è suo figlio, trentenne, stupratore condannato all’ergastolo. Dopo anni di fugaci e silenti incontri nel parlatorio del carcere, ho immaginato una licenza premio di cinque giorni per Linos dopo dieci anni di carcere. Vivì decise di organizzargli una gita a Delfi, l’ombelico del mondo secondo il mito classico. Li ho condotti a Delfi perché, non immedesimandomi, ma supponendo che in una situazione del genere una madre avrebbe potuto scegliere questa meta perché, mossa dallo scopo di stabilire un dialogo con il figlio, ritenesse che la forza e la bellezza dei siti archeologici possedessero il potere di sradicare il tenace e rabbioso mutismo del figlio, di converso, scatenandone una furiosa reazione… è vero, hai scritto bene, le storie sono due, corrono parallele seguendo ognuna il suo tempo narrativo ma entrambe investite da una pioggia di flashback… due storie e due personalissimi inferni: quello del figlio ergastolano e quello denso di rimorsi e tentativi di riappacificazione che, invece di naufragare e poi annegare, come hai scritto tu, riemergeranno dalle acque… Per venire alla tua ultima frase… non sta a me stabilire se “Ritorno a Delfi” sia il mio miglior romanzo.