Nel cielo dei potenti la febbre del voto. La Repubblica romana è un romanzo a Fiori
Autore: Patrizio J. Macci
Testata: Affari Italiani
Data: 11 giugno 2013
La ricerca e il desiderio forsennato del potere per il potere sullo sfondo di una Capitale silenziosa e apparentemente consenziente, nel triangolo formato dal Lungotevere, le osterie dietro al Palazzo e Piazza San Lorenzo in Lucina. E' Il cuore pulsante intorno al quale si agitano come formiche impazzite, arsi dalla "febbre del voto", i protagonisti della storia, una suburra di personaggi scolpiti.
Questo è il romanzo di Alessandra Fiori "Il cielo è dei potenti" pubblicato dalle edizioni E/O. Una fotografia chiara e nitida di come ha funzionato per mezzo secolo il partito di maggioranza relativa in Italia: la Democrazia Cristiana. Anche se bisogna arrivare quasi a pagina centocinquanta per vedere scritto il nome del partito per esteso, il lettore non faticherà a riconoscere i personaggi reali che si nascondono dietro i nomi posticci dei protagonisti: Evangelisti (quello del "A Fra' che te serve?"), Giulio Andreotti, Pietro Sbardella. Attraverso la loro vicenda umana e la voce narrante di Claudio Bucci "partito da Fiano Romano a cavallo di un somaro, (...) e destinato al Parlamento" l'autrice dipinge un grandioso affresco della Prima Repubblica con i suoi tic, i vezzi e i vizi.
A tratti volgare e violento, miserabile come solamente la fame di vivere sa essere, la sua lettura vale più di un trattato di storia dei partiti politici oppure un corso accelerato in una scuola di partito (che peraltro non esiste più). Alessandra Fiori è figlia d'arte, il padre é Publio Fiori politico romano che nella Democrazia Cristiana è politicamente nato e cresciuto. Questo ha costituito un indubbio punto di vantaggio per la ricostruzione dei dettagli, del tessuto sottilissimo composto da ambientazioni sciasciane, da penombre di sacrestia che solo chi ha respirato può raccontare senza mai strafare. Un regista che ne facesse un film partirebbe sicuramente dall'immagine della pratica delle elezioni sfacciatamente truccate (gli "imbussolamenti"), nelle fumose e polverose sezioni di partito della periferia buia dove l'avventura politica inizia, quando i voti (anzi le preferenze), andavano braccate una per una a Roma, in Ciociaria, nelle borgate più remote dove bisognava partecipare a decine di cerimonie per tornare a casa con le tasche gonfie di biglietti con le richieste più disparate.
Le scorribande nelle parrocchie dove il vero "Divo" ,Giulio Andreotti, si fermava sempre a parlare con il prete in sacrestia mentre gli altri pregavano: "perché il prete vota, Dio no". Il romanzo ha alcune pagine folgoranti sulla deriva umana causata dalla corruzione: per esempio quando la mamma del tangentomane stira le banconote ottenute come "pizzo" su un affare. Seguendo il cammino dei soldi stirati, mezza Capitale capiva quello che era avvenuto. E poi la fuga dai ristoranti ("il vento") per non pagare conti stratosferici, ancora prima i "fagottari" che vanno al mare sui camion che il mattino hanno scaricato la frutta ai mercati generali e vengono prontamente riconvertiti in autobus abusivi. Disposto a sacrificare tutto per il potere, il protagonista subirà una nemesi dantesca che lo riporta nei luoghi dell'infanzia da dove è partito, mentre un signore proprietario di alcune emittenti televisive fiammeggia da un palco in una manifestazione di popolo.
Il cielo a cui si allude nel titolo è quello della luce "a cavallo", che si può godere solamente in alcuni momenti del giorno sulle rovine del Foro Romano, al tramonto. Quando si passa dal giorno alla sera. Lì dove si muoveva Giulio Cesare e i senatori romani, dove c'è stato il potere nella sua rappresentazione più pura che come un acido, lentamente ma inesorabilmente, ossida e corrode gli uomini e li riporta alla terra.