Parigino doc, nato a Montmartre nel 1951, figlio di una lavandaia e un meccanico con altri quattro figli, Nan Aiurosseau, quando la famiglia ha problemi economici, si ritrova a vivere in una banlieue piena d'immigrati dove abbandona l'amata scuola, cresce per strada e diventa un ladruncolo fino a venir arrestato a 18 anni per rapina a mano armata.
In sette anni di prigione legge come un matto e impara il mestiere di idraulico, grazie al quale, andando a casa sua per una riparazione, conosce Jean-Patrick Manchette, re del noir francese, che gli consiglia di scrivere e lo aiuta ad arrivare a pubblicare nel 2005 il suo primo romanzo, Blue de banlieu, da poco tradotto in italiano (E/O, pp. 132 - 14,00 euro).
"La trappola, così si potrebbe chiamare la società, mi ha reso subito completamente asociale. Intorno ai 18 anni avevo una Colt 45 in mano", scrive del protagonista, Dan, che è un po' un suo alter ego: "Non volevo essere un umile, come chiamavano i proletari. Non volevamo assomigliare ai nostri padri, dei falliti che tutti i giorni soccombevano al lavoro per cercar di dar da mangiare ai figli e tutte le sere tornavano a casa ubriachi".
La storia è godibilissima e inevitabilmente noir, con la capacità di leggere nel tragico sempre anche l'aspetto comico, ma intrisa di un pessimismo totale che porta a una intensa anche se generica e disordinata protesta per una società corrotta, degradata e di capetti che hanno in mano il lavoro altrui. Uno di questi, l'infame Dolto, che scappa con la cassaforte della ditta, è l'altro protagonista della vicenda, mentre Dan è mosso da un'ansia di giustizia che lo spinge all'alienazione mentale, nonostante i tentativi della moglie di fargli accettare la realtà.
Attorno una folla di neri, polacchi, maghrebini, immigrati d'ogni tipo assieme al sottoproletariato francese con notazioni ironiche tipo: "Sui cantieri non si ha la stessa visione dell'Europa che si ha su uno scranno dell'Assemblea Nazionale".