Il problema della lingua e della comunicazione verbale quale veicolo di identità si pone al centro di questo romanzo-apologo, costruito in maniera originale sul genere del monologo muto, con cui Paolo Fallai narra la vicemda di dolore (e di espiazione) capitata a un giovane giornalista, vittima di un grave incidente stradale. Gran parte del libro si ambienta in un luogo asettico la camera di un ospedale che il protagonista impara a conoscere attraverso i rumori e i suoni (ha gli occhi bendati) o le visite dei aprenti che rappresentano lunico contatto con lesterno. Potrebbe sembrare una vicenda dai contorni molto quotidiani (senza morale, leggiamo nella quarta di copertina) se non ci fosse un particolare che getta una luce inquieta sul racconto e che invece gli attribuisce uno spessore morale: il protagonista vive la fase di convalescenza in una solitudne resa maggiormente drammatica da uno stato di afasia più o meno volontario.
Si tratta, dunque, di una situazione che presenta un forte carattere kafkiano: da un lato abbiamo un corpo imprigionato su un lettino, che vorrebe tornare allo stato di normalità; dallaltro il bisogno di ribellarsi allintero apparato di convenzioni e consuetudini che circondano la vita del protagonista. Il quale, non dimentichiamolo, di mestiere è giornalista, quindi fa delle parole il mestiere con cui guadagnarsi da vivere. E per lo più lavora in una delle numerose emittenti televisive locali, abituate a rubare immagini in misura deontologicamente scorretta pur di accaparrarsi audience. La realtà è ben più cruele di quella che si avverte a un grado di lettura superficiale e Fallai sa scrutarla con intelligente scaltrezza. I freni, cui allude il titolo sia nellaccezione del linguaggio automobilistico (da cuis cturisce il disastro dellincidente), sia nel significato di impedimenti -, riproducono moltiplicandola limmagine di una condizione esistenziale mutila non tanto dal punto di vista fisico, quanto soprattutto etico.
Si ha quasi la sensazione, insomma, che il personaggio attorno a cui ruota il racconto, proprio perché continua a stabilire un rapporto con gli altri solo attraverso labili codici di comunicazione (gli occhi quando gli toglieranno le bende, i cenni con le mani quando riacquisterà luso dei muscoli), non voglia più parlare.