Il monologo della protagonista Dorotea prende avvio dal suo suicidio consumato nella vasca da bagno, nel lento scorrere del sangue dalle sue vene incise. Eppure questo gesto non si dà come il punto d’arresto dell’esistenza ma come il varco aperto su un nuovo modo di essere al mondo. Il corpo si decompone, si sfalda ma la scintilla di vita che lo anima non vuole spegnersi e Dorotea continua a muoversi non vista tra gli abitanti della terra, senza poterli toccare ma con il desiderio di osservarne e capirne i gesti (forse ancora più di prima) per provare a comprendere anche i propri. L’anima si libera del corpo in questo romanzo dalle tinte esistenzialiste ed il profondo interesse dell’autrice per il Buddhismo emerge portentoso a descrivere quel processo di trasformazione che continuamente disfa e ricompone in nuove forme gli atomi della vita.
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