La debolezza del potere
Autore: Piero Ferrante
Testata: Stato Quotidiano
Data: 23 marzo 2013
Il potere è un mostro dai tanti stomaci. Vorace, ingordo, goloso. Il potere, d’iperbole, rode chi non ce l’ha. Di converso, mastica e rumina chi ce l’ha. Il potere è un mastino nerboruto, forte e arrabbiato: serve assicurarlo in catene se non si vuole che fugga. Il potere è un pianeta, con una faccia abbagliante di luce ed una scura d’ombra. Il potere è un piolo della scala della Storia recente d’Italia, uno dei cardini su cui ruotano le faccende politiche della Prima Repubblica.
Il potere, fine ultimo della creazione, genera vite e le lascia finire. Il potere, sinonimo di ricchezza, compagno della grandezza, fratello maggiore della notorietà. Il potere, bramosia di possesso. È potente chi è in quanto ha. Dei potenti è la possibilità di gestire, il privilegio del decidere.
Dei potenti è il cielo. Lo raccontano poco, pochissimo, i libri di testo scolastici. Lo racconta, con rigore quasi matematico, Alessandra Fiori nella sua opera seconda edita da E/O, “Il cielo è dei potenti”. Un libro che è molto più di un romanzo, quello della Fiori. Un libro che narra le vicende personali di un uomo, Claudio Bucci, cresciuto nell’Italia del dopoguerra a (poco) pane, (molti) preti, (diverse) puttane, (impietose) file e (velata) corruzione. Schiacciato tra la famiglia e il futuro (il suo, e quello di paese che stava inoculandosi scientificamente i virus della crisi avvenire), Claudio sceglie la terza strada, quella che lo porta alla politica. Vive così una carriera lunga decenni che attraversa le sperimentazioni democratiche post belliche e il boom economico degli anni Cinquanta, i comizi nelle piazze e quelli nei cinema delle parrocchie, il terrorismo rosso, quello nero e quello di Stato, la politica da bere degli anni Ottanta e la valanga furente dei Novanta. Una continua tensione allo scranno, non scevra da compromessi e rese incondizionate.
Quello raccontato dalla Fiori è un potere totalitario e assolutizzante. Un potere sudato e fumoso, partorito nelle stanze di partito, ma anche nelle strade. Un potere che nasce e si consolida nella pacchiana tracotanza delle sale da ricevimento strapaesane, nelle sagre rionali, nei battesimi, nelle comunioni e nelle cresime, nei riti formali delle mani che si stringono, negli oratori, nei centri direzionali, negli uffici dei costruttori. Un potere per dovere, obbligatorio, vincolante. È il potere della pochette nel taschino della giacca, il potere che si abbevera alla fonte dei grandi elettori locali, ‘compari’ come ras di quartieri allargati, portatori di voti e di tessere. Un potere che impone, ma che s’impone pure.
In questo senso, Bucci è, in generale, il sunto dell’italiano medio, così arrendevole alla scorciatoia, così disposto al compromesso, così pronto a cambiare casacca. E, più in particolare, il prototipo del democristiano-tipo, figlio delle divisioni e delle correnti, l’eterna buona promessa della grande Balena Bianca che fu. Troppo influente per essere considerato un nessuno. Troppo ‘uno dei tanti’ per essere considerato un potente. Nell’Italia che si scopre amante dei quiz a premi, nel Belpase di ‘Lascia o raddoppia’ e della ‘Ruota della Fortuna’, anche Bucci non è che un concorrente. Uno che il posto è costretto a guadagnarlo, scendendo a patti con l’etica, perdendo amore e amici, cedendo al lusso e alla tentazione. Uno che la sete di potere ha ingabbiato in una cella strettissima, consentendogli un’ora d’aria solo di tanto in tanto.
“Il cielo è dei potenti” è un’affacciata dal balcone della Storia su quel che siamo stati, un documentario su carta, una tricolore sbiadito, una fotografia grottesca di un Paese che, pur nelle sue manie di protagonismo, non è mai (e poi mai) riuscito ad essere grande.