Secondo romanzo pubblicato di Viola Di Grado, 25enne che si è imposta al pubblico col suo esordio Settanta acrilico trenta lana. Cuore cavo (Edizioni E/O) è la storia di Dorotea Giglio, «una ragazza», dice l'autrice, «trasparente ed esposta al sole come una lente che è andata a fuoco. Si è uccisa, e adesso osserva la propria decomposizione, sottoterra, e ne prende nota sul suo diario: la vanità si è trasformata in un penoso amore non corrisposto. Annota la disgregazione della propria carnem documenta con meraviglia e spavento l'interno del suo corpo che si svela poco a poco».
Fluttuante in una non-vita divisa tra i luoghi dei morti e quella dei vivi (la sua casa prima di tutto), priva di corpo e parola, Dorotea si aggira in una dimensione parallela, con un proprio codice, proprie regole e desideri, anche se Dorotea dice che i desideri sono solo per i vivi. Il tentativo è di creare una non-viva normalità che conti anche amici e affetti e le permetta di «continuare a vivere con la madre, proteggerla, consumare il suo amore per la vita come una spia, vedendo e sentendo tutto». Dorotea è però invisibile a (quasi) tutti. Se da un lato ciò la ferisce, dall'alto le permette di scoprire di sé e degli altri, cose che non è mai riuscita a vedere. Ma il mondo non è per i morti come non è per vivi. La serenità si è rinchiusa in comportamenti stagni nelle vite degli altri. «È una storia di incomunicabilità: se in Settanta acrilico trenta lana le parole di Camelia cessavano di funzionare, qui le parole di Dorotea non producono suoni. Dorotea vive la libertà estrema e spaventosa dell'esserci senza lo specchio. Ama tantissimo sua madre, ma crede di essere la sua malattia. Ama Lorenzo, entomologo, e quando lei morirà gli insetti perderanno possesso del suo corpo. Dorotea-fantasma ama Alberto, ma non sente alcun bisogno di essere riamata». Ama il corpo, che si disfa sotto i suoi occhi. «Pazientemente, i morti, aspettano la resurrezione».
Romanzo insieme simbolo e corporeo che coniuga, come il precedente, diversi linguaggi (dal lirico al narrativo allo scientifico), Cuore cavo inventa un mondo dopo la morte da cui la Di Grado riesce a far salpare un ponte che arriva sino a noi. Batteri, vermi, scarafaggi sono il brulicare di corpi che si alimentano di altri corpi in un cannibalismo infinito, ma anche in un mutuo scambio che punta alla sopravvivenza. Sora tutto, un amore «feroce, insaziabile, vorace» per la vita, la perpetrazione della vita e il linguaggio (che della vita illumina o nasconde il senso): i cardini attorno a cui tutta la scrittura della Di Grado ruota e si combina.