Più Meno, meno Franzen
Testata: Dario de Marco
Data: 15 febbraio 2013
Una delle frasi più citate, a proposito o a sproposito, parlando di letteratura o parlando di vita, è l’ormai famoso, ormai logoro incipit di Anna Karenina, quello sulle famiglie felici che sono tutte uguali e le famiglie infelici che ognuna lo è a modo suo. Bene, più o meno a metà del romanzone Il grande forse Joe Meno scrive una cosa che è l’esatto opposto. Il protagonista – uno dei protagonisti – una sera scende in cucina e si rende conto che non solo la moglie se n’è andata, ma per di più c’è anche il frigo vuoto:
Dà un’altra guardata in giro aprendo e chiudendo gli stessi stipi. Perché non ci sono merendine da nessuna parte? Perché non c’è neanche un Ding Dong o un Twinkie? Perché non ci sono né würstel né una pizza surgelata? Dove cazzo è Madeline? È domenica e sono le otto di sera. Che succede fra di loro? Madeline gli vuole ancora bene? O si sta facendo scopare da qualcuno con due bicipiti enormi? Perché non possono semplicemente essere infelici insieme? Perché non possono semplicemente vivere come due normali persone infelici?
Ecco, tra queste due visioni dell’infelicità, tra Tolstoj e Joe Meno non solo passa, ovviamente, la distanza tra Russia e America, ma anche e soprattutto un secolo e più. Un secolo in cui, in letteratura come nella vita, le grandi illusioni hanno fatto in tempo a diventare piccole delusioni, e le grandi tragedie a mutarsi in meschine, ridicole sconfitte, senza neanche più la consolazione dell’eroismo. La famiglia de Il grande forse è composta da cinque persone: padre madre e due figlie, più il nonno che vive in ospizio. I trenta capitoli seguono questa scansione: di cinque in cinque, ognuno è dedicato a un personaggio. Non è solo un artificio retorico, o uno sfoggio di bravura (perché Meno è bravissimo a immedesimarsi, a rendere credibili i pensieri di tutti, dal vecchietto alla preadolescente) ma ha a che fare con la stessa natura dei rapporti umani: infatti i protagonisti, anche se vivono più o meno insieme, sono cinque solitari, ognuno chiuso nella propria bolla.
Il padre scienziato perso alla ricerca di un calamaro gigante che vive negli abissi, forse, o forse è estinto da milioni di anni. La madre divisa tra il lavoro, una ricerca su dei piccioni che però si stanno ammazzando tra loro, l’insoddisfazione sentimentale e altre fantasticherie. La figlia maggiore ribelle e anti-capitalista, che come tesina di storia invece di una cosa scritta vuole portate a scuola una bomba fatta in casa. La figlia minore fissata con la religione, che prega in continuazione Dio di non farla morire di non far lasciare i genitori di convertire il gatto dei vicini. Il nonno sulla sedia a rotelle, che progetta di fuggire in aereo, e si allontana dalla vita eliminando una parola al giorno, e chiudendo i ricordi in lettere che spedisce a se stesso.
Certo uno dice famiglia, dice grande romanzo americano, e subito viene in mente una cosa sola: Jonathan Franzen. E infatti Irvine Welsh ha scritto così: “Penso che Il grande forse sia il romanzo più saggio, umano e trascendente sulla famiglia contemporanea dopo Le correzioni”. Non si capisce se il “dopo” stabilisca una precedenza qualitativa o meramente cronologica; a parte questo, il paragone fatto dall’autore di Trainspotting non è azzeccato: Franzen infatti è ponderoso, psicologico, realista (appunto: ottocentesco, senza offesa per Tolstoj). Meno è leggero, ironico, postmoderno, e soprattutto ha una vena fantastica e surreale, che tiene sempre la vicenda sul limite dell’improbabile, senza passarlo mai.
Il lettore italiano ha potuto apprezzare di recente Joe Meno (di cui comunque e/o ha pubblicato anche un altro romanzo, I capelli dei dannati) nell’antologia di autori McSweeney’s Donne e uomini. Lì in un racconto di due paginette illustrava l’amore impossibile di una coppia – John e Madeline, ricorrono quasi gli stessi nomi – in cui appena lui si avvicina per baciarla, lei si trasforma in una nuvoletta, e sta lì per un po’. Quella delle nuvole dev’essere proprio una fissazione, per Joe Meno.
Infatti, per esempio, il padre soffre di una particolare forma di epilessia: a scatenargli l’attacco è la visione di una nuvola, o di qualsiasi cosa gli assomigli. Ma quello delle nuvole diventa un leitmotiv che accomuna tutti, perché la moglie si perde quando vede una nuvola a forma di uomo sul giardino, e inizia a seguirla ossessivamente ogni giorno. E la figlia maggiore sulle nuvole farà la sua tesina, una storia delle nuvole dagli sbuffi delle locomotive alle nubi tossiche. La nuvola, a un certo punto la metafora viene proprio spiegata, rappresenta la complessità, davanti alla quale l’uomo si arrende – o per lo meno si arrendono i membri di questa famiglia, discendenti da generazioni e generazioni di vigliacchi che fuggono dalla realtà: ogni tanto infatti tra i capitoli si inseriscono brevi e spassosi excursus storici su alcuni antenati.
E mentre tutto sta andando a catafascio, proprio quando tutte le vite e tutte le frustrazioni e tutte le batoste sembrano precipitare verso il disastro finale, con una meravigliosa e ironica climax discendente pian piano tutto si aggiusta, fino a una specie di sospeso happy end. Buttato lì senza crederci neanche tanto, con una strizzatina d’occhio come a dire che la tragedia eccezionale, in fondo, è essere normali.
(Ps. Uno dei peggiori vizi del giornalismo italico è quello di considerare non-notizia un fatto solo perché è “vecchio” – vale a dire successo più di 24 ore prima – indipendentemente dalla sua importanza e dal fatto che se ne sia parlato o no. Ho visto articoli interessanti cancellati al momento di andare in stampa solo perché erano stati scritti la mattina, e quindi meritavano di essere sostituiti dalla cazzata delle 20:45. E questo succede, solo con tempi leggermente dilatati, anche nel cd. giornalismo culturale. Tutto sto papiello per dire che il pezzo qui sopra l’avevo scritto un anno fa, finora non era stato pubblicato, non certo per mia scelta, e adesso “che ci vuoi fare, è troppo vecchio”. Ma siccome sono convinto che si tratti di un grande libro, di un grande scrittore, e che un grande libro non invecchi, eccolo qua, ve lo beccate, e in versione integrale per di più)