«Non capisco al cento per cento quello che scrivo», mi dice Viola Di Grado. Le rispondo che la cosa mi rassicura, visto che a me il suo libro è piaciuto molto, ma non so bene perché. Cuore cavo (e/o, pagg. 176, € 16) inizia con la morte della protagonista. Dorotea, 25 anni e 5 esami alla laurea, si taglia le vene nella vasca da bagno. Continua con il suo corpo che imputridisce sottoterra, mentre il suo fantasma continua a ripetere le sue azioni da viva: va a lavorare, riesce persino a innamorarsi. Per Viola Di Grado, questo è il secondo romanzo. Il primo, Settanta acrilico trenta lana (premio Campiello Opera prima nel 2011 ), era una storia altrettanto insolita. Particolare come il suo stile, dalla scrittura ai bijoux. Oggi, per esempio, Viola indossa una collana con appesa una grossa mosca di plastica, la riproduzione di una vecchia fotografia, alcune conchiglie. «Rappresenta il romanzo», spiega.
Ogni libro una collana?
«Sì, è come indossare il romanzo. Una questione di coerenza perché per me la scrittura è totalizzante».
Ha detto di considerarsi scrittrice da quando aveva 5 anni.
«Può sembrare una posa, ma non lo è. Per me scrivere non era una cosa da fare, ma da essere. A volte mi chiedono quando l'ho deciso. È come domandare: "A che età hai deciso di essere una donna?"».
Anche sua madre, Elvira Seminara, è un'autrice. Ha preso qualcosa da lei?
«Abbiamo entrambe uno stile molto particolare. Lei produce borse e cravatte, con materiali di riciclo: chiavi, o anche teste mozzate di Barbie».
A che età ha imparato a scrivere?
«A quattro anni circa. Facevo le lettere al contrario. Ho letto che succede spesso ai bambini che imparano a scrivere prima del tempo perché la percezione di destra e sinistra non è ancora del tutto sviluppata».
Ricorda la prima storia?
«Parlava di un orso che tentava ripetutamente di suicidarsi».
Tutte vicende cupe?
«Sì. Molte ragazzine mutilate in seguito a incidenti terribili. Ricordo in particolare la volta in cui scrissi la storia di una bambina che veniva assassinata. Mia madre mi fece un discorso strano: "Secondo me", disse, "dovremmo apportare qualche modifica e trasformare la protagonista in una bambola: si chiama editing"».
Se scrive da 20 anni e ha pubblicato solo due romanzi, quanti libri ha nel cassetto?
«Parecchi. Tra Settanta acrilico trenta lana e Cuore cavo ho scritto altri due romanzi, ma non mi convincevano del tutto, e così li ho messi da parte».
Com'è nato Cuore cavo?
«Mentre guardavo le nuvole fuori dal finestrino dell'aereo, mi è venuta l'idea di questa ragazza morta, ma non sapevo esattamente come sarei andata avanti».
E poi?
«Ogni volta che comincio una nuova storia, faccio un sogno nel quale mi appare il personaggio principale. In questo caso ho sognato Dorotea da piccola: era magra, coperta di terra, stava fuori dalla porta a vetri di casa mia e mi guardava. Con me, all'interno, c'era una sorta di strega. "Posso farla entrare?", le chiedevo. E la strega: "Stai attenta, perché ruba le vite". Ed è così: Dorotea è morta, ma continua a stare su Ila terra: si aggira da clandestina, spia chi le sta intorno».
Le piace stare in contatto con i suoi lettori?
«Quando è uscito il mio romanzo precedente in molti mi hanno scritto su Facebook, e mi ha fatto piacere. Ma, ovviamente, ci sono anche gli psicopatici. Uno, per esempio, sosteneva che eravamo fatti per suicidarci insieme».