Viaggio al termine della notte
Autore: Anna Vasta
Testata: Letteratitudine News
Data: 11 febbraio 2013
Non passare per il sangue, nell’omonimo romanzo di Eduardo Savarese (Edizioni e/o. Pag.188 € 16,00) suona come una di quelle affermazioni perentorie-dinieghi o formule di scongiuro-sulle labbra di una Pizia: monito a chi voglia intraprendere un cammino iniziatico. Un “viaggio al termine della notte”, una discesa agl’Inferi, il percorso di conoscenza, di consapevolezza di Agar- personaggio reale, vero di soggettivi, autobiografici vissuti, e di quel surplus di verità che solo la letteratura può dare- la yayà(nonna)- di Creta, più che nonna, madre; di quelle madri del mito, enigmatiche creature impastate nell’argilla primordiale. Dure, battute, piegate, mai vinte da tempeste personali e collettive bufere, refrattarie e impermeabili alla compassione, scorbutiche e solitarie, eppure nell’intimo fragili, e quanto indifese. Nonna-madre di Marcello, l’ufficiale in missione umanitaria in Afganistan, morto in un un agguato, restituito alla famiglia, senza corpo, senza gli onori della sepoltura e del pianto, senza quei miseri, eppure sacrosanti, irrinunciabili conforti che Achille non negò neppure all’acerrimo nemico, Ettore. E per cui si batté sino a morirne Antigone.
Di Marcello nemmeno le ceneri, solo gli effetti personali in una plumbea valigetta che Luca, compagno-amante del giovane militare, anche lui soldato di una guerra feroce, fatta passare ipocritamente per operazione di pace, ha il compito di consegnare alla madre, Sofia. Una madre sorella, quasi amica, schiacciata dal dolore, dalle sconfitte, dai fallimenti esistenziali, repressa nei suoi slanci materni dalla soffocante onnipresenza di Agar; madre di entrambi, figlia e nipote, come in una tragedia greca, dove i confini tra pulsioni, passioni e ruoli famigliari sono labili e violabili.
L’arrivo improvviso di Luca-anche lui in cerca di un barlume che possa fare luce nel mistero di Marcello e della sua morte-incrina sino a spezzarlo l’instabile equilibrio di silenzi, omissioni, rancori, risentimenti, accuse reciproche, incomprensioni intenzionali e funzionali a nascondere ciò che madre e figlia hanno da sempre saputo, senza volerne prendere atto, per non assumersene il carico: l’omosessualità di Marcello.
Agar, nel ripercorrere insieme e in contrasto con il giovane militare che va rivelando, ogni giorno che passa, una sospetta, inquietante intimità col nipote, momenti, episodi, gesti, comportamenti, parole di Marcello bambino, e poi giovane adulto, va indietro coi suoi ricordi, alla sua prima giovinezza a Creta, alla malattia, l’insufficienza polmonare che ne aveva bloccato la crescita e la possibilità di emancipazione nel lavoro, tanto da spingerla a cercare una forma di indipendenza nelle nozze con l’ufficiale italiano, il nemico invasore di stanza nell’Isola. Sino alla paura atavica della sterilità. Paura che affonda in archetipi di fecondità e procreazione, che identificano la fisicità femminile in natura naturans. Questa paura della sterilità, dell’impossibilità di procreare vissuta come una deminutio del proprio essere donna, si aggira come uno spettro tra le mura della villetta di Vico Equense, anche dopo l’avvenuta maternità la nascita di Sofia, sino a materializzarsi nella sterilità di Marcello, nel suo amore contro natura che non passa per il sangue. Uno spettro funesto che porterà il nipote di Agar, sensibile, raffinato cultore di libri e di fiori, collezionista di Barbie, giovane bello e di gentile aspetto, a scegliere la vita militare per reprimere le proprie inclinazioni di “femmina” e affermare un’identità di maschio, che copra e nasconda il peccato d’origine: l’impossibilità di procreare, di passare per il sangue.
Anche l’amore di Marcello per Luca passerà per il sangue: la sua morte trucida, di una violenza senza pari, forse cercata, scelta come espiazione di una colpa: l’aver tradito le aspettative di Agar.
O come punizione inflitta all’amatissima yayà, per l’ostinata ossessione che si nasce per generare, per la sua chiusura a ogni altro sentimento che non passi per il sangue.
Se questa è la verità di yayà sulla fine di Marcello, alla luce delle rivelazioni di Luca sul legame che li univa, altra è la conclusione a cui giungerà il giovane militare nella ricerca di una ragione che rischiari l’oscurità di una morte apparentemente senza senso. Marcello si era allontanato dai suoi commilitoni per raggiungere il Giardino dei fiori, i papaveri che fiorivano, come per una riparazione, a consolare quelle terre sconsolate. Doveva raccogliere dei fiori […]Lo facevano andare matto i fiori. Li cercava dappertutto. E portarmeli come simbolo e trofeo del nostro amore. Questa è la verità di Luca, necessaria a sopravvivere a tanto lutto, all’immenso vuoto che gli si è spalancato dinnanzi alla perdita di Marcello. Verità che il giovane sbatte in faccia ad Agar, per svegliarla da un incubo, quello di un amore maledetto e di una colpa inesistente. Perché non c’è amore che sia colpevole, non c’è amore che sia contronatura, quando genera legami forti e fecondi d’eredità d’affetti.
Si chiude così questa storia di amore e morte, che racconta il dolore, la sofferenza fisica del distacco, e insieme il bisogno di seppellire i morti, di abbandonarli al loro destino per continuare a vivere. Una storia antica quanto il mondo e odierna, come antica e moderna è la lingua in cui viene narrata. Lingua che rifonde le suggestioni di un passato così remoto, da sconfinare nel mito e nella visione con gli echi, i rumori, le contraddizioni, la precarietà di un presente che nel passato trova la sua ragion d’essere: le cause di errori, cadute, pregiudizi e follie e il punto di partenza di un possibile riscatto.