La grande illusione della politica
Autore: Chiara Valerio
Testata: L'Unità
Data: 30 gennaio 2013
«Perché il problema è sempre lo stesso: la lotta tra le promesse vecchie e quelle nuove. Le seconde vincono sempre, perché sono più grosse. Si tratta quindi di riformularle di volta in volta, ma di fantasia ne ho sempre avuta in abbondanza». Il Cielo è dei potenti di Alessandra Fiori (pagine 298, euro 18,00e/o) racconta la storia – segue la parabola – di Claudio Bucci, figlio «di una notabile di Fiano Romano» e di un avvocato piuttosto Azzeccagarbugli – visti i pagamenti delle cause in caciotte – e che, a un certo punto – la prima adolescenza e successivamente alla decisione di non entrare in seminario – decide che la sua vita non trascorrerà in una aurea mediocritas, sarà aurea e basta. Così, marinando la scuola, e non essendo stato sorteggiato per un giro a mani piene al casino, entra in un teatrino, dove non c’è uno spettacolo, ma un comizio, e intuisce – che sia epifania, precognizione o volontà non lo saprà forse mai, o in quale proporzione – che la strada per il cambiamento è proprio la politica. «Si trattava di acquisire il linguaggio, sfoggiare sicurezza. Superato lo scoglio dello studio, tutto sarebbe stato facile. Da quella prima intuizione scaturì una certezza altrettanto forte: in politica, come ovunque d’altronde, solo una cosa può essere più forte del richiamo del sesso. Non i soldi, il potere». La città è Roma e il tempo scorre dal primo dopoguerra. Tutto da rifare insomma. E sinonimo di «rifare», per Claudio Bucci, è «conquistare». Il racconto, che pure è a ritroso – Bucci ha settant’anni – ha tuttavia il passo del presente. Perché l’amore per Giuliana, la donna che ha sposato, nonostante tutto, è rimasto intatto, perché i figli sono cresciuti e si sono allontanati ma il figlio di un figlio porta il nome suo, perché la politica è invecchiata tuttavia, come il protagonista forse, ha i capelli bianchi ma ancora tutti in testa, perché il disincanto – che è una forma della speranza – rimanda l’evidenza che la politica, in certi anni, poteva essere una forma di educazione sentimentale. «Non ero sopravvissuto al terrorismo, alla massoneria e a tangentopoli per fare la fine del sorcio in qualche ente di terza categoria. Ero pronto a lottare». Con una lingua svelta e con osservazioni vispe e d’acume, e un ritmo narrativo sincopato da costruzioni e interiezioni romanesche e le svelte sentenze d’una nuova classe politica – e, pure, di una nuova classe sociale e culturale – Alessandra Fiori, racconta l’ascesa e l’equilibrio di un politico della prima Repubblica, che ha tentato l’intransigenza e il compromesso, l’eroismo e il negozio, che si è seduto su una poltrona in Parlamento ma anche ha battuto sagre di paese odorose di porchetta, che ha avuto in sorte la dote del comando ma è stato sedotto dal vizio della vittoria. «E allora ho capito (…) Che il senso di colpa è una forma necessaria di amor proprio e il rimorso, un’inutile menzogna».