Roberto Riccardi @ Noir Italiano
Testata: Noir Italiano
Data: 4 dicembre 2012
Colonnello della Benemerita e direttore della rivista “Il Carabiniere”, Roberto Riccardi ha esordito in libreria con un romanzo sul mondo degli infiltrati nelle grandi organizzazioni criminali. Convene quindi conoscere il suo modo d’intendere il noir!
Noir Italiano: Ciao Roberto, benvenuto a Noir Italiano. Per me una Menabrea fresca. Tu?
Roberto Riccardi: Caffè a tutte le ore. Un vizio preso sul lavoro, che combatto senza eccessivo impegno.
Noir italiano: Cosa significa per te “noir?”
RR: La domanda non è delle più semplici, le differenze di genere sono a volte sfumate. Il giallo per gli italiani, il noir per i francesi, sono nomi ricavati dai colori delle copertine. Per non parlare del mondo anglosassone: per loro ci sono il crime fiction, il true crime, il thriller, il legal thriller, il mystery, il police procedural… Credo che il noir si caratterizzi per le atmosfere, per il non essere legato al maccanismo classico: “delitto-soluzione”, per la possibilità che non sia il bene a trionfare o per quella di narrare il punto di vista di chi delinque.
NI:Come ti documenti prima di scrivere un romanzo?
RR: Ho la fortuna di essere un addetto ai lavori. Sono un ufficiale dei carabinieri e per circa quindici anni ho svolto il lavoro investigativo: in Sicilia, Calabria, a Roma, nei Balcani. Ma non basta, se devo parlare di un fenomeno criminale mi aggiorno costantemente: relazioni degli organismi nazionali e internazionali che se ne occupano, saggi, giornali…
NI: Quando scrivi parti da una scaletta predefinita oppure ti lasci guidare dalla scrittura?
RR: Entrambe le cose. Avere una scaletta mi aiuta a non avere il problema della “pagina bianca”, ma a volte la scrittura mi trascina in luoghi diversi rispetto al progetto originario. Magari non troppo lontano, ma un po’ sì.
NI: Come ti comporti quando sei “a caccia d’idee”?
RR: Confesso che… non lo sono mai. Le idee sono fin troppe, ho sempre una trama nuova in testa. Semmai ho il problema opposto, non riesco a scrivere tutti i romanzi che vorrei. Il tempo è tiranno.
NI: Parliamo di noir in sè stesso. Credi che si tratti solo di letteratura d’evasione o sia un modo che gli autori hanno per mostrare verità ritenute scomode?
RR: Credo che ogni autore lo viva a suo modo, ma di certo è un genere che permette di raccontare la società in tutte le sue pieghe, specie le più dolorose. Quello delle “verità scomode” è proprio il manifesto della collezione Sabot/age, varata dalle edizioni eo, alla quale sono contento di aver contribuito. Ciò che non si può dire ufficialmente, magari perché non c’è una verità giudiziaria certa, passa più facilmente per le pagine di un romanzo.
NI: Il tuo delitto perfetto…
RR: Dire che non esiste è scontato, ma… è vero. Specie da quando la tecnologia ha consentito agli investigatori di fare passi da gigante. Nella mia esperienza, però, i delitti più vicini alla perfezione sono quelli che si possono scambiare per suicidi, morte accidentale o di malattia. Oppure quelli in cui manca il cadavere, per le mafie la cosiddetta “lupara bianca”.
NI: Quanto tempo dedichi alla scrittura?
RR: Quando posso un’ora al giorno, dalle sette alle otto del mattino, prima d’iniziare una giornata di lavoro.
NI: Ti ringrazio. Regalaci una frase noir…
RR: In ciascuno di noi c’è la potenzialità di commettere delitti, in particolari momenti o a certe condizioni. Molti, però, sono talmente fortunati che quei momenti, quelle condizioni, non si verificano nell’arco della vita intera.