Eduardo Savarese, Non passare per il sangue
Autore: Federico Novaro
Testata: Federico Novaro
Data: 29 novembre 2012
Rielaborazione de L’amore assente, finalista al Premio Calvino 2012, Non passare per il sangue di Eduardo Savarese esce da e/o, nella “collezione sabot/age”, diretta, come si dice in quarta, da Colomba Rossi e curata da Massimo Carlotto, autore di punta della casa editrice. Collana di letteratura italiana contemporanea dalle ambizioni forse non ancora comunicate in modo chiarissimo, noir ma non noir -forse il genere in cui viene spesso inserito Carlotto ne orienta la percezione- ma Rossi e lo stesso Carlotto ne ribadiscono la natura meno angusta.
Su Carmilla on line, un’intervista di Marilù Oliva dà modo a Rossi (“Colomba Rossi, cagliaritana, per anni fiscalista poi libraia, agente del suo autore preferito (Massimo Carlotto)”) di chiarire i loro intenti:
“[...] Partiamo dalla collana che dirigi per edizioni e/o, Sabot/age, il cui nome si presta a una doppia lettura: “Sabotaggio” ed “Era del Sabot”, lo zoccolo di legno che, ai tempi della rivoluzione industriale, veniva lanciato dagli operai negli ingranaggi delle macchine, quando erano esausti. Come e quando è nata l’idea?
L’idea è nata con l’antologia di romanzi Donne a perdere pubblicato con le edizioni e/o.
Da una riflessione condivisa con Massimo e cioè che la letteratura di genere non poteva più essere considerata come “l’unica” in grado di leggere, analizzare, radiografare la realtà, ci siamo resi conto che di fronte alla complessità del momento tutte le forme letterarie dovevano concorrere a raccontare le trasformazioni imposte dalla crisi.
[...]
Scorrendo i titoli, mi son fatta l’idea è che i libri non siano ingabbiati severamente in generi: un pulp, La ballata di Mila di Matteo Strukul, un romanzo poliziesco, Lupi di fronte al mare di Carlo Mazza, poi una saga criminale con Una brutta storia di Piergiorgio Pulixi e un fantapolitico con Sinistri di Tersite Rossi: l’appartenenza a un genere non è quindi la conditio sine qua non della collana?
Assolutamente no. A noi interessa proporre letteratura di contenuti e non di genere.
E in questo dobbiamo ringraziare i nostri editori e il fantastico staff delle Edizioni e/o per aver creduto fin dall’inizio nel progetto. È la qualità della storia che la rende o meno inseribile nella collezione. L’altra discriminante è la qualità letteraria, a noi non interessa pubblicare a discapito della buona letteratura. [...]“
Sul sito del curatore oltre all’intervista qui sopra citata ci sono molti altri materiali e nella presentazione alla collana si legge: “[...] Romanzi e solo romanzi, non inchieste travestite. E una volonta’ precisa nel ricercare nuovi autori che si affacciano nel panorama letterario con storie “potenti” e molto, e sottolineo molto, ben scritte. Qualità e rigore che hanno da sempre caratterizzato la casa editrice E/O [...]“.
Dal punto di vista grafico la collana, anzi, la “collezione”, come è indicato in copertina, non è indimenticabile, grandi font bastone per i titolo, talvolta in colore, autore più in piccolo e con grazie, spesso il nome della casa editrice non è indicato, se non sul dorso -il marchio- e in quarta; cornice bianca che contraddistingue molte delle pubblicazioni della casa editrice; illustrazioni in grigio-bianco-nero con talvolta, come nel caso del titolo di Savarese, un tocco di colore, medesimo del titolo.
L’illustrazione (di Luca Laurenti) poi del titolo di Savarese è forse la meno efficace di quelle uscite sinora, col papavero galleggiante sull’ombra del soldato solo timidamente kitsch, che forse evoca più la rosa de La Belle e la Bestia che i campi dell’Afghanistan, luogo di guerra evocato nel testo. E la piccola ferita/crepa da cui un po’ goffamente sembra spuntare, con tanto di sbaffo rosso sangue è quasi illeggibile.
Nella comunicazione che si è fatta intorno al libro, a cominciare dalla quarta, e poi rimbalzata di sito in sito nella solita acritica pratica del taglia/incolla, si pone una vecchia questione omofoba, che cerca di inquadrare e stigmatizzare le relazioni omosessuali come sterili. È un cavallo di battaglia da sempre di chi vuole ridurre all’interno del recinto della famiglia nucleare eterosessuale tutta l’esperienza affettiva umana. Si afferma insieme che solo le coppie eterosessuali possano avere figli, e che le relazioni omosessuali, in quanto non finalizzate alla riproduzione, sono sterili, cioè cattive.
Per fortuna è un’idiozia che va via via depotenziandosi, ma certo, almeno sottotraccia, ancora presente.
Così la quarta di Non passare per il sangue inizia: “È possibile essere fecondi, costruire relazioni vive e sensate, | oltre e contro i legami di sangue? | Un amore omosessuale non passa per il sangue, ma è vita, amore e senso [...]“, tradendo, oltre ad un gusto kitsch che in effetti giustifica l’illustrazione, forse un po’ l’adesione all’assunto omofobo, nella logica ballerina della frase. Di cosa infatti si sta parlando? I legami di sangue sono la famiglia di orgine, si immagina. Ma in questo in cosa sarebbe diverso un amore eterosessuale avversato dai parenti?
Dopo l’esposizione, un po’ alata, della trama, si arriva al punto: “Luca svela ad Agar [nonna dell'amante morto di Luca] di avere avuto una relazione molto intensa con Marcello. La reazione della vecchia nonna è spietata: l’amore dei due è contronatura”.
A chi risponde allora la prima frase della quarta? Alla nonna? E cosa centra l’esser o meno feconda una relazione di coppia con l’avversità di un parente? Nulla, naturalmente; così forse si immagina che la nonna con quel contronatura si riferisca, fra le tante varianti del termine, a quella sterilità della quale si parlava, accusa così potente da nascondere la propria natura di falso infamante e da far temere che possa inverarsi invece in un deserto sentimentale, morto e insensato, e che lascia pensare che la frase dubitativa dell’inizio sia animata da quei fantasmi. Assumere così lo sguardo della nonna premettendolo al testo, è un’operazione meschina, perché lo si sposa, seppur fosse per apparecchiare un libro a dimostrarne la fallacia.
Sempre su Carmilla, sempre Marilù Oliva scrive una vera recensione di Non passare per il sangue, e non una stanca rielaborazione della cartelle stampa:
“[...] Questo non è un romanzo sulla morte, ma sulla vita attraverso ciò che si è perso, ciò cui si è rinunciato, sulle disfatte ma anche sulle conquiste, i preconcetti – l’amore omosessuale e la strada per convivere con qualsiasi identità socialmente misconosciuta – e le affermazioni, le paure e il coraggio, l’aderenza all’esistenza, la ricostruzione. [...]“
Echi melodrammatici e un po’ sinistri nell’incipit della recensione che ne fa Tersite Rossi su MegaChip:
“[...] Passare per il sangue, ovvero avere figli. E, in senso lato, rispettare il ruolo assegnato dalla morale comune. “E’ difficile non passare per il sangue”, dice alla giovane Agar l’amica Mirtò, a Creta, durante la seconda guerra mondiale. “Vuol dire che, se è necessario passarci, una donna senza figli è inutile?”, chiede ad Agar, sessant’anni dopo, l’ufficiale dell’esercito Luca Solpietro. “Anche un uomo”, gli risponde severa la vecchia Agar. [...] Agar per il sangue ci è passata con fatica, contro una malattia che ancora giovanissima le aveva portato via un polmone e un destino che sembrava aver già deciso la sua impossibilità di avere figli. Oltre mezzo secolo dopo, il nipote Marcello, frutto indiretto del passaggio di Agar per il sangue, si innamora di Luca, dopo averlo conosciuto nell’esercito, durante gli addestramenti dei reparti speciali in partenza per l’Afghanistan. Un amore omosessuale, il loro, che per il sangue non potrà passare mai. [...]“
Alfredo Ronchi, su Il paradiso degli orchi entra nel merito della rappresentazione di una relazione omosessuale in un testo contemporaneo italiano:
“[...] si parla di omosessualità: e quando l’affaire si manifesta non sempre ci si trova davanti ad una mente agile che eviti le sabbie mobili di una consuetudinarietà che sfiora il luogo comune o il ritrattismo/santino da epoca tutto sommato politically correct.
Quel che Savarese ci offre non convince appieno (anzi, se devo essere sincero, un po’ infastidisce): un Marcello un po’ femminiello che gioca da bambino con la Barbie, che da grande ascolta musica classica e confessa di aver scelto la carriera militare per ‘restituire’ una figura maschia e virile ad una famiglia al limite della liceità, in tempi come questi sa un po’ di psicologia datata e ‘frivola’. Per non parlare del momento clou del coming out (attenzione: i media ancora sbagliano quando parlano della questione. Si dice coming out quando la persona confessa la tendenza sessuale; si dice outing quando una seconda svela la condizione della prima!) che nel 2012 vorremmo già superata o magari non ritratta in un contesto da vangelica apocalisse. [...]“