Due ragazze del secolo scorso raccontate da Ferrante
Autore: Laura Fortini
Testata: Il Manifesto
Data: 31 ottobre 2012
Le scrittrici italiane stanno da tempo svolgendo un'opera di narrazione complessa e meravigliosa della storia di questo paese. In modi diversi e anche dissimili fra loro Goliarda Sapienza con L'arte della gioia, Rossana Rossanda con La ragazza del secolo scorso, Maria Rosa Cutrufelli con D'amore e d'odio, fino ad arrivare all'Anna Negri di Con un piede impigliato nella storia, hanno riattraversato il Novecento scegliendo la voce narrante di donne la cui vita si intreccia strettamente allo svolgersi della storia del proprio tempo: questo modifica profondamente sia le modalità della narrazione che gli interrogativi sul come vivere in Italia consone e al tempo radicalmente dissonanti rispetto ai tempi evenemenziali della Vita pubblica. A questo movimento, che a onde larghe abbraccia con forza il secolo alle nostre spalle per guardare con occhi limpidi e vigili il tempo presente, Elena Ferrante aggiunge due voci, quelle di Lila e Lenù, protagoniste di una tetralogia di cui e/o pubblica il secondo volume a distanza di un anno dal primo, L'amica geniale, il cui titolo trova una compiuta definizione proprio in questo secondo atto, intitolato Storia del nuovo cognome (pp. 480, euro 19,50), quando la voce narrante di Lenù osserva che «la sua vita si affaccia di continuo nella mia, nelle parole che ho pronunciato, dentro le quali c'è spesso un'eco delle sue, in quel gesto determinato che è un riadattamento di un suo gesto, in quel mio di meno che è tale per un suo di più, in quel mio di più che è la forzatura di un suo di meno». Amiche geniali l'una per l'altra fin dall'infanzia in un quartiere popolare della Napoli del dopoguerra, di cui si racconta mirabilmente nel primo volume, e poi nella giovinezza, in cui il «nuovo cognome» è quello che entrambe assumono o potrebbero assumere con il matrimonio e il cui senso di estraneità declinato nella vita di ognuna diviene figura narrativa dell'affacciarsi al mondo divenendo donne. Donne e uomini: perché il gruppo di maschi e femmine che gioca e si tira sassi nei vicoli del quartiere diviene adulto in anni scanditi da date certe, non quelle della Storia grande,·ma quelle della vita delle due protagoniste, «la nostra storia», preannunciata nel prologo al primo volume, quando Lenù comincia a scrivere <<tutto ciò che mi è rimasto in mente» di Lila, improvvisamente sparita, volontariamente, a sessantasei anni, senza lasciare traccia. Ma è Lenù con la sua scrittura a costituire traccia che non si può cancellare, e a farne storia scandita da date certe: 1963-65, gli anni dello studio alla Normale di Pisa di Lenù che faticosamente si costruisce un percorso di emancipazione dalle condizioni d'origine da cui a denti stretti vuole smarcarsi, nel senso proprio di un marchio della classe sociale che ci si vuole lasciare alle spalle, il proletariato indigente, violento e servile della propria famiglia e del quartiere in cui si è nati. Il 1944 è data della nascita di entrambe e segnala simbolicamente l'affacciarsi dell'Italia sul dopoguerra, di una guerra di cui però non vi è memoria collettiva se non per la presenza quasi arcaica nel quartiere del fascista don Achille, violento gerarca locale, animato da una forza brutale, e ucciso, forse, da una donna. Quelle donne che nel dopoguerra avranno per la prima volta il diritto di voto, ma non è questa la data che si ricorda nel romanzo, quanto quella del 31 dicembre 1958, data del primo episodio di smarginatura di Lila, che vive - e racconta nel suo diario - il dissolversi improvviso dei margini delle persone e delle cose, il perdere di consistenza dei corpi, il disfarsi di ruoli e situazioni di cui si rivela progressivamente la mancanza di materialità consapevole. Sono tutte date certe che costituiscono rete fitta di rimandi a una storia del secolo scorso che si incarna nelle donne e gli uomini protagonisti di questa tetralogia e che diviene perciò memoria vivente: il fascismo è il fascista Achille, il comunismo è il comunista Pasquale, il muratore, e prima ancora suo padre Alfredo, il falegname, che muore in carcere ingiustamente accusato dell'assassinio di don Achille. Le forze apparentemente - ma solo apparentemente - astratte che sono state all'opera nel Novecento, e che oggi sembrano consegnate a pure etichette vuote di senso, nel corso della narrazione hanno vite e corpi, modi di stare al mondo e di starci in un certo modo con la violenza oppure opponendosi ad essa, sfruttando la povertà delle vite altrui, rubando e prestando denaro ad usura - che è comunque una forma di la ladrocinio, oppure cercando riscatto anche oltre la più elementare speranza, come nel caso di Enzo, che nel secondo volume studia di notte dopo la giornata da erbivendolo ambulante per conseguire il diploma superiore. E le donne sono le madri, al cui destino di abiezione le figlie vogliono sottrarsi con tutte le loro forze e le maestre: magnifica la rappresentazione della maestra Oliviero, con tutto il coacervo di giudizio, proiezione, aspettative di riscatto e autoritarismo che può connotare il ruolo magistrale, che trova poi corrispettivo altro e altero nella figura della professoressa di latino e greco Galliani, appartenente a una aristocrazia intellettuale progressista di cui a più riprese si mettono nel romanzo in evidenza l'autoreferenzialità, i privilegi, il paternalismo.
Se la misera si mangia vive le vite - la definizione è di Ferrante - grande è il lavoro di Lila e Lenù per riuscire ad andare oltre: l'una, Lenù, intraprende la strada dell'emancipazione, ma sarà progressivamente consapevole che questo la mette nelle mani degli uomini; l'altra, Lila, cercherà nella strada della liberazione, dalla famiglia, dal matrimonio, anche dalla rappresentazione di sé che il mondo patriarcale le ha consegnato un modo per vivere che le risponda interamente, senza smarginature. Sono entrambe strade che hanno attraversato il Novecento e che arrivano fino al nostro tormentato presente, in cui con piacere si incontrano nel corso della narrazione parole come amore per la città, per la polis, insieme alla lotta di classe, - «le classi non giocano a briscola, ma fanno la lotta, e la lotta è all'ultimo sangue» sono parole di Lila - e alla rappresentazione mirabile del lavoro in fabbrica che conclude il secondo volume, che reca sottotraccia la memoria dei Tre operai di Carlo Bernari di cui uno, però, è Anna, una donna, proprio come Lila, che però diversamente dalla Anna di Bernari che muore a conclusione del romanzo, abbandona l'agio apparente di una vita da donna ben maritata (ma anche le botte, le «mazzate», lo stupro domestico) per vivere una vita misera forse, ma non certo sconfitta e ricca di determinazione e di progettualità futura.
Sarà davvero interessante vedere come il bisogno, il desiderio di rivoluzione che anima anche questi tempi presenti , e che scaturisce dalla materialità delle vite di donne e uomini come quelli così magistralmente raffigurati da Ferrante, troverà forme della narrazione nel corso dei prossimi romanzi.