"L'isola del tesoro!!!" di Sara Levine
Testata: Appunti di Carta
Data: 1 novembre 2012
Il bello dei pirati è che spesso sono solo un pretesto.
“Riuscite ad immaginare che cos'è solcare l'Oceano. Per settimane non vedere altro che l'orizzonte, perfetto e vuoto. Vivi nella morsa della paura: paura della tempesta, di un'epidemia a bordo, paura dell'immensità. E allora devi spingere bene quella paura in profondità, e studiare le carte; osservare la bussola, pregare per un vento favorevole, e sperare: pura, autentica, fragile speranza.
Da principio non è altro che una nebbia all'orizzonte. Allora osservi meglio. Osservi meglio. Così diventa una macchia, un'ombra in lontananza sull'acqua. Passa un giorno, poi un altro giorno. E quel segno lentamente si spande lungo la linea dell'orizzonte prendendo forma, finchè il terzo giorno permetti a te stesso di credere e osi sussurrare la parola: Terra.
Vita, resurrezione.
La vera avventura, generata dalla vastità dell'ignoto, sorta dall'immensità a nuova vita. Questo, Vostra Maestà, è il nuovo mondo.” (*)
Così l'affascinante navigatore, corsaro e poeta Sir Walter Raleigh (ca1552 – Londra 1618) nella verisione cinematografica Shekhar Kapur / Clive Owen si rivolge a una Regina Elisabetta di età ormai matura che, immalinconita dalla complessità della vita di corte e piegata dalle pesanti responsabilità che il ruolo le impone, altro non brama se non la freschezza di un vento puro, foriero di una resurrezione a nuova vita.
Questo per dire che la forza del “L'isola del tesoro!!!” (non dimenticate i punti esclamativi) sta nell'aver dimostrato, ancora una volta, di come la lettura di un grande classico dell'avventura (prima ancora di essere un "romanzo di pirati") possa fare la differenza – sia dentro sia fuori dal testo.
E pazienza se poi l'interpretazione che ne viene è quella che è, del tutto personale. Quella giusta verrà, in seguito.
Dentro il testo succede che l'autrice, Sara Levine, che di mestiere fa l'insegnante (e si sente), già vincitrice di alcuni premi letterari come scrittrice di short stories, ci invita a fare la conoscenza di una 25enne ne più ne meno differente da una delle tante giovani universitarie (o post-universitare) tra quelle che probabilmente le capitano davanti, a lezione, quasi tutti i giorni.
La protagonista, di acuta intelligenza, figlia della media provincia americana, possiede una laurea in non si sa bene cosa - un titolo di studio che comunque al momento non le è di alcun vantaggio – un impiego part time in un pet-shop, un fidanzato capitato più per caso che per scelta, un'amica storica un po' stralunata, una famiglia levemente disfunzionale e sulle spalle il peso costante dell'affitto del monolocale da saldare a fine mese.
E' questione che la giovane antieroina (intraprendenza pari a zero, interesse per un avanzamento sociale e uno sviluppo personale nullo etcetc: “Io, invece, la figlia maggiore, lasciavo sconcertati i miei perché non scrutavo l'orizzonte alla ricerca di occasioni per fare volontariato, perché scappavo via da chiunque puzzassse di persona bisognosa e perché bazzicavo il centro commerciale e correvo dietro ai ragazzi. Che interessi avevo? Perché insistevo a guardare la tivù? Perché non mi applicavo?” [p89]) un giorno si imbatte per caso in una copia sdrucita del classico di Stevenson, e da esso ne trae, come dire, la Rivelazione.
Ossia decide, rapita dalle gesta del giovane Jim, di stravolgere, anche lei, tutta la sua vita, per altro applicando quelli che crede siano i grandi “Valori Fondamentali” del racconto: Audacia, Risolutezza, Indipendenza e “Battersi la Grancassa”.
Da qui al disastro totale la strada è ovviamentre brevissima: perché nella foga liberatrice dell'esaltazione data dall'avere – finalmente – un “progetto” di vita da seguire e da portare avanti sino alla fine, a farne le spese saranno un po' tutti: la titolare del negozio di animali, la migliore amica Rena, il fidanzato (che diventerà ex), la sorella Adrianna, i genitori che si troveranno, dopo anni passati tra sereno affetto e caldo clima familiare, a vivere da separati in casa, l'una asserragliata in cucina tra pentole e fornelli, l'altro ermeticamente chiuso nella Taurus di famiglia parcheggiata in garage.
La luce arriverà, come si diceva sopra, un po' per intimo convincimento (“Se mia madre incarnava i Valori Fondamentali meglio di me, non gliel'avrei mai perdonato” [p137]) e un po' grazie a qualche spintarella esterna (“Non ci definirei 'indipendenti', ma che importa? Le persone interdipendenti sono molto più simpatiche. Tu, invece, vivi come se fossi l'unica persona presente in questa stanza!” [Rena – p178]) e poi, come nella migliore e più classica tradizione piratesca, avrà infine le fattezze di un magnifico tesoro, tanto più prezioso quanto più scovato per caso (in questo caso, nella tasca sdrucita di una borsa consunta): una mappa misteriosa, vergata a mano, con tanto di X rossa e una stella dorata a segnare la meta.
(*) from "Elizabeth, the Golden Age".
Buona lettura :)