Un ponte fatto di parole
Autore: Gabriella Grasso
Testata: Corriere Immigrazione
Data: 8 ottobre 2012
Quando Édith, che fa la traduttrice a Parigi e ha una famiglia felice, scopre che Fadila, la sessantenne marocchina che la aiuta in casa, è analfabeta, decide di insegnarle a leggere e scrivere. Compito che si rivela più arduo del previsto, perché la mancanza “di un principio organizzatore del pensiero astratto” e di ogni abitudine all’apprendimento rendono difficilissimo, per Fadila, mettere insieme, nel giusto ordine, anche solo le sei lettere che compongono il proprio nome. Il rapporto tra le due donne, che Laurence Cossé racconta in Mandorle amare (e/o, euro 17) si ispira a una vicenda reale. L’autrice infatti ha davvero fatto da “insegnante” a una signora marocchina. E le affermazioni che Fadila fa nel suo francese ingenuo e sgrammaticato (ottima la traduzione in italiano, tra l’altro), nonché i suoi errori nel tentativo di imparare a scrivere, sono la trascrizione letterale di quelli della “allieva” della scrittrice. Mossa dal desiderio di affrontare la questione dell’alfabetizzazione degli immigrati, la Cossé si sofferma tantissimo sulle difficoltà di apprendimento di Fadila. Ma esagera. Il lettore rallenta, si distrae, a tratti si annoia. Ed è un peccato, perché il punto di vista della marocchina sull’immigrazione offre molti, sorprendenti, spunti di riflessione. Un esempio? Mentre Édith, parigina progressista, giustifica senza tentennamenti il tentativo di molti africani di arrivare in Europa rischiando la vita in mare, ecco cosa afferma Fadila quando le cronache riportano la morte di uno di loro: «Loro dice poveri, ma no poveri. A villaggio c’è pane. Lui affogato, meglio restava villaggio. No cerca mangiare, vuole bella casa, bella macchina, queste cosa». E in un’altra occasione, rincara la dose: «Deve torna casa loro». Viene da chiedersi se la compassione non sia un sentimento che non tutti possono permettersi.