Valerio Nardoni: Capelli Blu
Autore: Fabrizio Fulio-Bragoni
Testata: Non solo noir
Data: 29 agosto 2012
A volte capita, a noi lettori avvertiti, attenti e critici – talvolta tanto avvertiti attenti e critici che quasi quasi ci si sorprende che non si riesca a farne una professione, di questa nostra attività…- di avvicinarci con sospetto a certi “dispositivi”, certi sistemi di marketing e promozione tipici del mercato editoriale – inverosimili strilli di copertina, quarte iperboliche e critiche troppo positive, troppo entusiastiche (1); tutti ritrovati, questi, che se convincono il grande pubblico (ma siamo poi sicuri che convincano ancora?), mettono sull’avviso i lettori più scafati, contribuendo a formare un pregiudizio negativo.
A volte capita, dicevo.
Ma poi, se uno non ha perso il gusto per la lettura (e non bisognerebbe mai perderlo), capita anche di ricredersi.
È il caso, mi pare, di questo Capelli Blu, romanzo d’esordio di Valerio Nardoni.
Sì, perché non c’è niente di più insidioso del lapidario “Immaginate Paolo Conte che incontra i fratelli Cohen (tra l’altro sarebbero i fratelli Coen [Ndr.]) in una città italiana che pare la Brooklyn di Smoke” impresso sul dorso. Niente di più insidioso, a eccezione, forse, della breve biografia riportata sulla seconda aletta: “Valerio Nardoni è nato a Livorno nel 1977. Critico e traduttore letterario [...] ha fondato il festival di poesia internazionale Premio Ciampi…”.
Insomma, lo si apre, questo Capelli Blu, romanzo di un esordiente, di un critico, e per di più appassionato di poesia, con le peggiori intenzioni.
Ma poi la narrazione ci mette ben poco a prendere il sopravvento. Appena qualche riga. Subito sotto i “titoli di testa”: diciamo a pagina 17, proprio all’inizio del racconto vero e proprio…
Ma andiamo con ordine: il luogo del racconto è una città non ben definita; presumibilmente Toscana, più per il giro di frase e la cadenza del dialogo che per l’unico accenno di toponomastica(2) rintracciabile nel testo.
Il tempo, non dichiarato, è l’oggi: non servono gli oggetti e le abitudini dei personaggi a stabilirlo, basta la strategia di sopravvivenza adottata dal protagonista, laureato (“Storia dell’arte, una laurea per modo di dire”(3)), che si è visto costretto a depennare la laurea dal curriculum, “o non lo avrebbero assunto mai”(4).
Lui, Jilium, è uno di quei personaggi goffi e un po’ traballanti fatti per conquistare; sarebbe banale pensare al Giovane Holden; no, Jilium è piuttosto una sorta di Tonio Kröger il cui squilibrio riposa, molto realisticamente, a mezza via tra il disagio personale e la piaga sociale; uno strampalato “funambolo senza fune”(5) colto sull’orlo di una più o meno rovinosa caduta; un personaggio i cui tratti più “fastidiosamente” giovanili – come il nome, “Jilium”, latinizzazone di Virgili, che il protagonista si porta dietro dai tempi del liceo- diventano sopportabili, e anzi persino cari, in virtù della sua costitutiva precarietà.
Arenato nella sua posizione di cassiere di hard discount, circondato dalle anonime facce dei clienti e affiancato solo dall’amico Alvaro, dall’insistente Sonia e dalla delicata Manuela, Jilium sembra muoversi in un mondo privo di prospettive, ma anche di “incidenti”. Un mondo immobile e sempre uguale a se stesso.
Finché, una sera, individua una giovane donna dai capelli blu, svenuta, o forse morta, proprio di fronte alla porta di casa.
In quella donna crede di riconoscerne un’altra, incontrata poco tempo prima in un negozio di elettronica. Ma questo non conta: senza troppe esitazioni, Jilium decide di raccoglierla e portarla dentro.
Da questa minuscola variazione nella sua insignificante routine ha inizio una catena di eventi che lo precipiterà in un mare di guai.
Il fraseggio di Nardoni, curiosamente familiare, confidenziale per cadenza e costruzione più che per scelte di lessico e registro, è perfettamente adeguato a una narrazione che, nel correre dell’intreccio, si rivela sempre meno oggettiva, sempre meno “reportage di fatti” -benché fittizi- e sempre più “racconto”, filtrato (e irrimediabilmente segnato) dal punto di vista del narratore.
Ne risulta un romanzo surreale e volutamente confuso, rapido e inedito, brevissimo ma imprevedibile, convincente e mai banale.
E insomma, per una volta, contrariamente a tutte le aspettative, l’iperbolica quarta sembra non essere immeritata; anzi…
Capelli Blu, di Valerio Nardoni è in uscita oggi per E/O.
(1)In genere estese dai soliti habitué delle performance prezzolate, giornalisti e critici la cui credibilità, inspiegabilmente (o forse molto spiegabilmente, dato che è lo stesso sistema che li paga per osannare o demolire ad averli incaricati del -per loro- dubbio onere della critica), non viene mai messa in questione…
(2)A pagina 91 la residenza del protagonista viene fissata all’“Argingrosso”, motivo per cui verrebbe da pensare a Firenze.
(3)Valerio Nardoni, Capelli Blu, E/o, Roma 2012, p. 43.
(4)Ibidem.
(5)Ivi, p. 17
(6)Assolutamente oggettive restano invece, o così pare, le note di scena inserite in corsivo -forse l’unica concessione al postmoderno nel quadro di una narrazione che, almeno in superficie risulta eminentemente moderna- la cui funzione all’interno del testo (se di funzione è lecito parlare) risulta chiara soltanto a lettura ultimata.