I dieci figli che la signora Ming non ha mai avuto
Autore: Elisabetta Bolondi
Testata: SoloLibri.net
Data: 3 ottobre 2012
Che tratto leggero, che sensibilità squisita, che lingua lieve ha Eric-Emmanuel Schmitt, lo scrittore già notissimo in Italia per i suoi precedenti romanzi (penso al bellissimo “La donna allo specchio”, il più recente). Pubblicato da E/O a settembre 2012, I dieci figli che la signora Ming non ha mai avuto è un racconto breve, denso, profondo, pieno di spunti su cui riflettere.
Siamo nella Cina profonda di oggi, in una sperduta provincia divenuta la capitale delle fabbriche di giocattoli creati per l’esportazione. Il narratore anonimo è un francese poliglotta che traffica a nome della sua ditta prodotti Made in China e si ferma per le sue trattative al Grand Hotel di Yunhai. Nelle toilette del grande albergo sembra regnare una donna esile, la signora Ming, con la quale, nelle pause delle defatiganti trattative d’affari, l’imprenditore si intrattiene. La donna racconta di sé, circondata da una pulizia maniacale che rende gradevole la sosta nei bagni, e svela di aver avuto dieci figli, ormai tutti adulti, dei quali racconta i nomi, l’infanzia, gli studi, i pregi, i difetti, l’attuale collocazione lavorativa, in genere molto brillante. Il narratore sa per certo che a nessuna donna in Cina è consentito di avere più di un figlio, quindi è convinto che la signora Ming menta. Lui d’altra parte ha mentito a sua volta, spacciando per figli suoi i due nipoti, di cui ha mostrato una foto. Il rapporto con la donna si fa conflittuale: nessuno crede più all’altro, ma ormai il rapporto si è consolidato e ad ogni viaggio l’uomo torna a visitare e a interrogare la signora Ming, dopo aver accertato che lei ha lavorato per anni nella fabbrica di bambolotti ed è stata licenziata proprio perché era invidiata dalle altre operaie a cui raccontava dei suoi dieci figli…
Il finale imprevedibile della storia vede la presenza di Ting Ting, la primogenita (forse l’unica vera figlia? Gli altri nove sono solo il frutto della fantasia della presunta madre?) e il ritorno felice del narratore a Parigi. Un lieto fine inatteso per un romanzo dallo stile impeccabile, con personaggi, soprattutto la signora Ming, dai tratti inconfondibili: è una saggia confuciana, è un’operaia infaticabile, ha una dignità professionale straordinaria, una fantasia senza confini, un amore per la vita e per la fertilità contagiose. A metà tra il moderno racconto e una raccolta di massime confuciane, il libro vola via e lascia nel lettore un senso di pienezza.