Un'intervista con Giampaolo Simi
Testata: Liberi di Scrivere
Data: 28 agosto 2012
Benvenuto Giampaolo su Liberidiscrivere e grazie di aver accettato questa mia intervista. Inizierei con le presentazioni e con la domanda più odiata dai miei intervistati: chi è Giampaolo Simi?
Uno che sembrava destinato ad altro, nella vita, tipo andare per mare, stare alla reception di un albergo o piantare ombrelloni sulla spiaggia. E invece gli si è piantato in testa un chiodo fisso: narrare storie.
Credi fermamente che per essere un buon scrittore per prima cosa bisogna essere un lettore?
Sì. Leggere con passione insegna a non fare agli altri, da scrittore, quello che non vorresti fosse fatto a te da lettore.
Quale è il libro più bello che hai letto, quello che ti ha commosso, segnato, aiutato, sconvolto?
Sono più d’uno, per fortuna. Li ho messi quasi tutti sull’immagine principale del mio profilo di Facebook.
E quale è il più sopravvalutato?
Oggi ogni titolo che va in classifica è sopravvalutato. Questo non significa che non possa essere un buon libro, ma ormai una deriva isterica fa strillare ogni tre giorni al “caso editoriale dell’anno”. Ci sono libri che escono già con la fascetta “un successo del passaparola”, lo trovo geniale. Il punto è che si deve vendere sempre di più, in un tempo sempre minore. La strategia è allora costringerci tutti a farci un’idea di quel libro, altrimenti in pizzeria non sappiamo di cosa parlare. Quasi mai il libro può essere all’altezza di tanto scalpore, ma a quel punto ormai l’abbiamo comprato. Magari ci vendicheremo snobbando il libro seguente, ma saranno problemi dell’autore. Gli editori lo sanno e si regoleranno.
So che tieni corsi di scrittura creativa. Ritieni davvero che l’arte di scrivere si possa insegnare, o meglio tramandare? In che misura è fondamentale il talento e in che misura la tecnica?
Non saprei. So che il talento è un dono distribuito in maniera assai antidemocratica. La tecnica invece la si può diffondere e condividere.
Nel 1996 hai esordito con il romanzo Il buio sotto la candela, poi hai pubblicato nell’ordine: Direttissimi altrove, Figli del tramonto, L’occhio del rospo, Il corpo dell’inglese, Rosa elettrica. C’è un particolare, una caratteristica che accomuna questi tuoi libri?
Li definirei tappe molto diverse dello stesso viaggio.
Hai da poco pubblicato per E/O La notte alle mie spalle. Lo definiresti un noir? Quale è la tua personale definizione di noir? Ti faccio questa domanda perché spesso vengono definiti noir anche romanzi che poco hanno a che fare con il genere.
Il noir non possiede elementi strutturali precisi, come la detective story. Il noir è quel cinismo malinconico, quell’eleganza ribelle, quella sobrietà sporca che alcuni scrittori posseggono. Hammett, Izzo, Manchette, Scerbanenco ce l’hanno nel DNA, per esempio. Ma talvolta anche – vado a caso – Simenon e Capote, Joseph O’Connor, Patrick McGrath o Philippe Djian. È un’opinione mia. Per il grande pubblico italiano noir significa invece un “giallo” con qualche ammazzamento in più. E allora dico che no, La notte alle mie spalle non è un noir. È un romanzo, punto.
Parlami del protagonista. Come è nato il personaggio di Furio Guerri? Come hai costruito il suo aspetto fisico e psicologico?
Del suo aspetto fisico in effetti non sappiamo quasi niente. Furio racconta se stesso attraverso ciò che indossa e ciò che possiede. La sua psicologia mi ha affascinato il giorno in cui me lo sono visto alla guida del suo Duetto del 1970. Fa il rappresentante, pensa solo al fatturato ma poi viaggia sempre e solo su un’auto d’epoca. Rinuncia ai comfort e brucia una fortuna in benzina per amore verso un’idea di bellezza. Uno così ha dentro una contraddizione che ti viene voglia di raccontare.
Perché hai scelto di raccontare la dissoluzione di una famiglia? I rapporti umani sono una ragnatela così fragile da rischiare di essere spezzati in modo anche irreversibile?
L’evoluzione della società occidentale prevede solo individui oppure famiglie liquide, cioè dinamiche, allargate, pronte a rimodellarsi. Furio è invece schiavo della famiglia patriarcale, indissolubile, un’impronta vaticana che dal fascismo è passata alla retorica elettorale democristiana, che è poi al tempo stesso giustificazione comoda per il nepotismo dilagante e concetto fondante delle organizzazioni mafiose. Un modello puramente ideologico che uno come Furio si ritrova ad aver assimilato come unico possibile. Ma la realtà è un’altra.
Il punto di non ritorno di Guerri è il non sentirsi più necessario?
Sì. È non sentirsi più al centro di questa famiglia e non contemplare un’altra fisionomia possibile di famiglia.
C’è speranza di redenzione per questo personaggio? Credi che il dolore sia in un certo senso terapeutico o renda solo più cattivi?
Non credo che il dolore sia un valore a prescindere. Furio non lo sperimenta come punizione, incontra il vero dolore quando meno se lo aspetta. Non so se quel dolore lo redime. Di certo lo fa cambiare in maniera imprevedibile.
Cosa rappresenta il personaggio di Caterina?
Il futuro.
Parlami dei luoghi dove è ambientato La notte alle mie spalle.
È la Toscana, dalla Versilia alle Colline Metallifere, dalla Valdera alla Maremma.
Che tipo di linguaggio hai preferito utilizzare: funzionale alla storia, colloquiale, semplice , ricercato, volgare, duro, violento?
Un linguaggio diretto e asciutto. La parola che scegli stimola la fantasia del lettore, tutte quelle che elimini danno a questa fantasia il suo spazio vitale.
Hai collaborato come sceneggiatore e soggettista per varie trasmissioni tv. Vuoi parlarci di questo tuo lavoro, si può dire complementare a quello di scrittore di romanzi?
È stato complementare e prezioso. Mi ha insegnato un nuovo linguaggio e mi ha impedito di scrivere un romanzo all’anno su commissione.
Cosa pensi di Internet: social network, blog etc…?
Penso che ogni lettore oggi può aprire Facebook appena finito il tuo libro, trovarti in mezzo minuto e scriverti quello che pensa. È bello.
Che romanzo stai leggendo attualmente?
Don De Lillo, Underworld.
Ti piace fare tour promozionali? Racconta ai nostri lettori qualcosa di divertente accaduto durante questi incontri.
Una dozzina di copie vendute durante una cena a base di cacciucco, senza che io avessi pronunciato una sola parola sul libro. Va bene che il cacciucco era fenomenale, ma la cosa mi ha fatto comunque riflettere.
Cosa pensi dell’editoria e della critica letteraria nel nostro paese?
I grandi gruppi, ormai solo in parte editoriali, stanno lavorando ferocemente per sostituire i critici con giornalisti fidati e piazzare dei commessi al posto dei librai. E almeno di questi ultimi sentiremo, credo, la mancanza.
Infine, nel ringraziarti per la disponibilità, mi piacerebbe sapere se hai in uscita un nuovo libro e se stai scrivendo al momento.
Ho diversi progetti in cantiere per quanto riguarda la fiction. Per il nuovo romanzo sono ai primi passi. L’ho detto, non credo sia sano e necessario pubblicare un libro all’anno.