Una grave crisi economica investe il mondo. Non è una delle tante: è l’ultima, quella definitiva. Finiscono per sempre soldi, lavoro e benessere. Solo un posto si è salvato: è la città dove vive il protagonista di questa storia. Qui un gruppo di ragazzi come lui, intuendo prima degli altri come sarebbe andata a finire, ha fondato una comunità basata su alcol e promiscuità, svuotata da ogni preoccupazione e progettualità. Parte come una parodia swiftiana il nuovo romanzo di Claudio Morici, L'uomo d'argento (edizioni e/o), per immaginare poi uno scenario futuristico solo all'apparenza utopico e finire a raccontare con una visione acuta, divertente e terrificante il dolore per la fine del lavoro e del mondo. "La città che ospita questa storia è una sorta di alter-ego delle nostre città - spiega l'autore a Rai Letteratura -. E' la materializzazione dell'unica fantasia di evasione che abbiamo a disposizione, essa stessa parte di un meccanismo culturale rotto. Ci sono almeno due-tre quartieri fatti apposta per questo in ogni grande città europea che si rispetti". Unici vincenti in questa storia che è stata definita "una satira della depressione e della degenerazione" sono: Jenny, un'appenarrivata che inizia col protagonista una storia d’amore fatta di bugie, assurdità e voglia di cambiamento, e un uomo pitturato d’argento che da anni sta seduto su una panchina al centro della città senza fare assolutamente niente. "Un Maestro che ti osserva immobile - conclude Morici -, un novello Siddartha che sta seduto lì, su quella panchina, tutto di argento, come se il mondo fosse altrove, troppo lontano dall’inerzia delle sue gambe serenamente accavallate".