Un libro per gli innamorati dei libri ? E’ questa la chiave di lettura con cui ci si avvicina a La libreria del buon romanzo, magari ricordando i vagabondaggi nelle librerie, che evocano quella sottile emozione che dona l’incontro con un libro che si pensa di poter amare.
Quando si legge il romanzo, ci si accorge che questo c’è sicuramente, ma c’è anche dell’altro: un meccanismo narrativo che intreccia genere poliziesco e romanzo d’amore, una idea della letteratura, anche se forse solo accennata, un riflessione piuttosto informata sui meccanismi dell’industria culturale, e dell’editoria in particolare.
Il libro si apre con un’atmosfera un po’ noir: una serie di incidenti che colpisce alcuni personaggi. E’ una specie di ouverture poco decifrabile, come quando inizia un concerto che non conosciamo, e dalle prime battute non riusciamo a capire di che si tratti. Pian piano però l’enigma si scioglie: le persone colpite sono i componenti di un comitato, che doveva essere segreto, il quale sceglie i titoli dei “buoni romanzi” che stavano facendo la fortuna di una libreria di recente apertura in un quartiere di Parigi: Au bon roman, appunto, come da insegna parigina.
L’idea della libreria era venuta a Ivan (o Van) e Francesca. Van è un quarantacinquenne commesso in una libreria di una località montana francese, dove Francesca, cinquantenne colta ereditiera di un nobile uomo di lettere italiano, possiede una casa di montagna. Francesca e Van hanno in comune la passione per i romanzi che smuovono delle emozioni profonde, anche se vendono poco ed anche se non sono romanzi da accatastare all’ingresso delle grandi catene librarie come best-seller obbligatori da leggere, e che svaniscono come l’acqua di una gazosa.
Nasce l’idea della Libreria del buon romanzo, della cui storia racconteranno i particolari ad un funzionario di polizia, perché gli incidenti iniziali erano in realtà degli attentati intimidatori contro il successo della libreria, che in pochi mesi aveva catalizzato l’attenzione di molti lettori, ma anche della stampa e della Tv francese, nonché un onda anomala di entusiasmo sul web. Perché l’idea di far scegliere ad alcuni dei migliori autori letterari francesi viventi 600 titoli a testa tra i romanzi che essi stessi ritenevano indispensabili, per formare il catalogo della libreria aveva aperto una breccia. Come dice Van in un dialogo, bisogna fare per i cattivi libri un po’ quello che (forse) in alcune nazioni è successo con le sigarette: farle passare di moda, disintossicare la gente.
E’ questo pericolo, connesso al successo della libreria, che mette in moto la reazione delle grandi case editoriali, delle catene di distribuzione, ed anche dei tanti autori, molto in voga e molto narcisi, che dopo un po’ si accorgono di non essere presenti nel catalogo di Au bon roman. Di qui campagne di stampa, interventi anonimi nei gruppi di lettura sul web, fine degli inviti in Tv per Van e delle recensioni favorevoli dei giornali. Fino all’escalation delle aggressioni ai membri del comitato letterario segreto, scoperti dopo uno scippo a Francesca, che conservava gelosamente i numeri, goffamente camuffati, nella sua agenda.
In tutte queste vicende, si intreccia la storia d’amore solo adombrata tra Van e Francesca, e quella un po’ più reale di Van con Anis, studentessa anche lei appassionata di libri, che dalla zona montuosa dove si sono conosciuti andrà a studiare dove Van lavora, a Parigi, senza darlo a vedere, o semplicemente aspettando che il loro amore maturi, finendo poi a lavorare anch’essa nella libreria.
Il libro ha una fine realistica ma inaspettata, e forse un po’ troppo forzata, non solo per amore del lieto fine, ma anche per alcune soluzioni narrative. Ma forse è meglio leggerlo per capire il perché.
Quello che invece si può e si deve commentare è il filo rosso che porta all’idea di letteratura di Laurence Cossé. L’autrice non la presenta come una verità intoccabile, semmai la porge come un’ipotesi, però è un punto controverso sia nel romanzo, sia per i lettori reali, da quello che si può leggere nei vari blog di recensioni di novità librarie che ci sono sul web. C’è chi ci vede un difetto di elitismo, cavallo di battaglia anche degli attacchi dei giornali alla libreria nel libro, e c’è chi ci vede una sana ecologia della mente, contro l’inflazione degli junk-books, per mutuare un termine finanziario forse poco adeguato, ma che rende l’idea.
E’ un dibattito ormai datato, questo sull’industria culturale che impone i gusti, omologandoli sempre in basso, oppure ha ragione chi esalta la libertà di leggere ciò che si vuole, senza farsi imporre dei canoni letterari da professori o scrittori o comunque esperti del settore?
A mio avviso, il problema in questi termini è mal posto, perché questa dicotomia tra cultura alta e cultura bassa, peraltro dai confini sempre più sfumati, è un dato permanente, direi quasi sociologico. Quello che forse però suggerisce il romanzo è la formazione di comunità identitarie, basate su gusti e stili comuni, che sono anch’esse dati permanenti delle nostre società contemporanee, e sempre più si diffondono in ogni parte con l’avanzata di quella che chiamiamo globalizzazione. Perfino la letteratura può risentire di questo, anche se siamo abituati a vederla con quell’aura che Benjamin già negli anni trenta dichiarava scomparsa per le opere d’arte nell’epoca della loro riproducibilità tecnica. Oppure anche se la vediamo come un momento di evasione purchessia dalla realtà.