L'unico scrittore buono è quello morto Marco Rossari
Autore: Francesco Lubian
Testata: Sherwood
Data: 23 maggio 2012
L’unico scrittore buono è quello morto: provocatorio fin dal titolo, l’ultimo libro di Marco Rossari, pubblicato da e/o, è un caleidoscopio colto, allucinato al punto giusto e molto divertente di racconti, aneddoti, massime, aforismi, una sorta di Zibaldone degli anni Zero che ricostruisce una mappatura personalissima di cosa voglia dire, oggi, guadagnarsi il pane scrivendo. O almeno cercare di farlo.
I racconti più lunghi, quasi tutti già apparsi in altre sedi, sono apologhi paradossali e stranianti (ma proprio per questo molto eloquenti) sul panorama letterario odierno: da un Tolstoj costretto a fare la presentazione alla radio della sua Sonata a Kreutzer, al traduttore che sostituisce brani di un romanzo giallo con passi di Heidegger senza che nessuno se ne accorga, alla descrizione di un surreale poetry slam, Rossari ci regala pagine affilatissime dedicate a vicende del tutto improbabili: dunque, perfettamente credibili.
Ma è forse negli aforismi, davvero fulminanti, spesso frutto di geniale sabotaggio linguistico ("Apocalittici e disintegrati"; "In ogni caso, nessun ricordo"), che l’autore cala i suoi assi migliori. E anche dove il cinismo dell’autore sembra davvero estremo (si pensi a com’è tratteggiata la controfigura di Franca Pivano in Dove finisce la strada, o al racconto sul terrorismo di Figli delle stelle a cinque punte), si avverte che per Rossari la letteratura non si esaurisce nel gioco postmoderno di travisare citazioni dotte e sovrapporre più livelli meta-narrativi possibili: alla base c’è un amore incorreggibile e ostinato per la scrittura e tutto ciò che le gira intorno (giornalismo, traduzione, perfino la rilegatoria).
Questo libro è un caleidoscopio, dicevamo, un turbinante gioco di specchi: ma alla fine, spente le luci e chiusa l’ultima pagina, resta lo scrittore, solo con le sue ossessioni, e davanti nuove pagine bianche da riempire.