Inferno a Delfi
Autore: Maria Simonetti
Testata: L'Espresso
Data: 1 gennaio 1970
È un romanzo per palati forti, duro e urticante, "Ritorno a Delfi" di Ioanna Karistiani (traduzione di Maurizio De Rosa, edizioni e; o, pp. 334, € 19,50), scrittrice greca di sceneggiature e storie estreme che indagano fin nelle viscere dell'animo umano, signora intorno ai 55 anni nata a Creta e residente sulle montagne intorno ad Atene senza posta elettronica né telefono. Del resto il titolo greco è abbastanza drammatico: "Ta sakìa" ossia i sacchi, proprio quelli che ci portiamo tutti sulle spalle perché, come scrive Karistiani, «nella vita non ce ne sono quasi di individui immacolati, carichi soltanto di un fagottino di seta, quasi tutti somigliano a degli sherpa oberati dal peso di sacchi pieni fino all'orlo». Eppure non si riesce a non leggerlo fino alla fine questo romanzo che racconta l'irraccontàbile, ossia di una madre che si trova a fare i conti con un figlio stupratore e assassino. È a Delfi, secondo il mito greco l'ombelico del mondo, che Vivì Cholevas, vedova di mezza età, ha organizzato un viaggetto in occasione del permesso-licenza di suo figlio Linos, trent'anni, ergastolano da dieci. Per stabilire un contatto con lui la madre cerca forza nella bellezza delle rovine e dei siti archeologici, il figlio resta chiuso nel suo rabbioso mutismo, odiando ancor più «quel cimitero di anticaglie». Tra flashback e presa diretta la storia corre su due binari sempre paralleli: l'inferno di Linos in galera è quello di Vivì fuori, assediata dall'ira delle madri delle vittime; il processo che condanna il figlio è identico a quello a cui si sottopone lei, sulle sue colpe e responsabilità. Finché, dopo decenni di silenzi e di non ascolto, sarà un bagno in mare fatto insieme, a Delfi, il momento catartico della pacificazione.