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Verso Bari in fuga dalle ombre

Autore: Diego Zandel
Testata: La Gazzetta del Mezzogiorno
Data: 28 gennaio 2007

Con Le lunghe ombre della morte, edito come sempre da e/o, Veit Heinichen porta a quattro i romanzi tradotti in italiano con protagonista il vicequestore Proteo Laurenti, in quel di Trieste, città in cui lo scrittore vive da oltre una decina di anni in una bella casa sulla costiera. La casa in cui, per inciso, lo scrittore fa vivere anche il suo protagonista, al quale, ancora, regala molto del suo carattere, ricco di umor nero, ironico, e molti dei suoi piaceri, come quello per l’alta cucina e il buon vino.

Per il resto, Heinichen è coui che, più di qualsiasi altro scrittore che ha ambientato i suoi romanzi nel capoluogo giuliano, fa una mappatura esatta, meticolosa, nelle sue descrizioni, di luoghi, strade, locali, siano ristoranti, caffè o alberghi, sul mare, in città o sul Carso.

Ciò non significa che la Trieste di Veit Heinichen sia del tutto realistica. C’èanche un aspetto visionario, quasi surreale, che lo scrittore insegue per dar vita alle sue trame che solo per comodità si possono definire gialle.

In Le lunghe ombre della morte, se andiamo a veder bene, scopriamo che i delitti non hanno il compito tradizionale di dar vita a una indagine col fine di trovare un colpevole. Quest’ultimo, alla fine, neppure c’è, resta solo il delitto, anzi i delitti. Due per la precisione, quello di un collezionista di armi, Diego de Henriquez, morto e creduto suicida nei lontani anni Settanta nel rogo della sua casa tra una parte dei suoi cimeli, e quello del professor Perugini, antropologo, studioso di tradizioni popolari, ucciso qualche anno dopo, perché assertore non del suicidio ma del fatto che il de Henriquez fosse stato ucciso.

Tutto ciò non sarebbe neppure venuto a galla, in questi inizi del XXI secolo, se Mia, una giovane ereditiera australiana, figlia di emigranti triestini, non fosse arrivata nella città delle origini della sua famiglia per prendere possesso della casa della zia deceduta e, nei pressi, sul suo terreno, non avesse scoperto un arsenale di armi d’epoca, che chiaramente facevano parte della collezione de Henriquez.

La polizia non può ovviamente disinteressarsene, tanto più che, parallelamente, per vie traverse, l’evento si incrocia con almeno altre quattro coordinate che, tramite la figura emblematica di una ragazza russa, hanno per rette lo sfruttamento di un giro di sordomuti che vanno in giro per i locali a lasciare sui tavoli dei clienti oggettini in cambio di un’offerta in denaro; una banda di trafficanti croati di armi e altro (già presenti in precedenti romanzi di Heinichen); un gruppo animalista denominato «Mucca Pazza» che protesta contro il bestiame in transito sulle navi da Trieste dirette in Medioriente; la morte violenta, con relativa indagine, di un uomo innamorato e geloso della bella australiana, Mia, in seguito a un maldestro tentativo di stupro.

Questi fatti così diversi tra loro hanno però tutti alcuni punti di contatto che costituiscono l’intreccio complesso del romanzo che fin dall’inizio vieta al lettore di distrarsi, pena la perdita di qualche dettaglio che lo costringerebbe a ritornare sui suoi passi.

Bisogna dire che Heinichen fa di tutto per tenere insieme il costrutto. E ci riesce, oltre che per la consueta abilità, affidando al personaggio di Proteo Laurenti il compito di collettore stravagante dell’intero disegno. Un Proteo Laurenti che è si vicequestore in Trieste, ma anche padre e marito, amante della bella donna, procuratore della vicina repubblica croata, amico dell’ex medico legale della polizia oggi in pensione, Galvano, fustigatore dei suoi sottoposti, in paticolare, in questo caso, del fido Sgubin, in odor di promozione, e della segretaria Marietta improvvisamente dedita al nudismo in spiagge isolate, e, poi, nuotatore mattiniero solitario, sospettoso di certe assidue e misteriose presenze e così via, che gli consente di essere uno e multiplo, con uno spirito leggero quasi vagabondo, che è poi la cifra di questo romanzo.

Nel calderone è forte, sempre, la presenza della città e del suo passato più recente, continuamente evocato, così come il presente, illuminato da non peregrini dati statistici che il nostro Proteo sciorina a beneficio di un profilo cittadino che si confronta, guarda un po’, sempre con Bari, la città dove un amico, capo della capitaneria, di Proteo aspira continuamente ad andare per «diventare un vero pezzo grosso della marina» con tutto quello che vi succede, e senza più aver a che fare con quelle «nevrosi nascoste» di Trieste che invece tanto affascinano, come il suo autore, il poliziotto di Veit Heinichen.