Una birra con Tersite Rossi
Autore: Omar Gatti
Testata: Noir Italiano
Data: 13 maggio 2012
Teriste Rossi è nato nel 1978 ed è un autore noir. Soffre di crisi d’indentità, tanto che a volte si fa chiamare Mattia Maistri, altre Marco Niro. Facezie a parte, sotto lo pseudonimo si cela l’attività di due scrittori che hanno fatto del noir d’inchiesta (lo stile alla Carlotto, che prende spunto dalla realtà per svilupparne le tematiche nere) la propria bandiera. Noir Italiano li ha invitati (entrambi, naturalmente) per parlare di noir e del loro modo di vivere la scrittura.
Noir Italiano: Ciao a entrambi e benvenuti. Io prendo una birra weiss, bella ghiacciata. Voi?
Tersite Rossi: Una scura irlandese e una rossa scozzese, grazie.
NI: Cominciamo: come vi siete conosciuti ed è nata la vostra collaborazione?
TR: Marco aveva scritto un saggio di critica del giornalismo (“Verità e informazione”, Dedalo 2005), che non aveva letto quasi nessuno. Tra i pochi coraggiosi vi era stato Mattia, che, in seguito, volendo organizzare un corso di giornalismo nel suo comune, decise di chiedere proprio a Marco di fare da docente. Da allora non si sono più lasciati (professionalmente parlando…). E fu sempre Mattia, qualche tempo dopo, a far uscire dal cassetto un suo vecchio progetto letterario e a proporre a Marco di lavorarci sopra assieme. Marco inizialmente ritenne folle l’idea, e l’ignorò. Ma Mattia seppe insistere, e così, dopo lunga gestazione, vide la luce il loro primo romanzo.
NI: Cosa significa per voi noir?
TR: Come genere letterario, un insieme di canoni con cui “giocare”, per provare a modificarli, invertirli, sovvertirli, stravolgerli, senza però perderli di vista né rinnegarli. Come contenuti, il tentativo di svelare le nefandezze del potere, i suoi abusi e i suoi eccessi, affidando il compito a personaggi che ci piace chiamare “antieroi”: individui che hanno deciso di girare contro il sistema, e per questo finiscono dimenticati, derisi, sconfitti.
NI: In cosa consiste la “narrativa d’inchiesta”?
TR: La narrativa d’inchiesta è un filone letterario nel quale ci riconosciamo e operiamo, che intreccia storie “comuni” (la storia con la “s” minuscola) con importanti eventi storici più o meno attuali, in ogni caso controversi e irrisolti (la Storia con la “S” maiuscola), sui quali non è stata fatta ancora sufficiente chiarezza e sui quali è il narratore stesso a indagare, prima di elevarli a scenario ed elemento della sua narrazione. La narrativa d’inchiesta ha quindi il grande pregio di mettere chiaramente in luce l’inevitabile legame esistente tra grandi e piccoli eventi. I racconti e i romanzi della narrativa d’inchiesta sono per questo capaci di rendere più avvincente la narrazione e di conseguenza più efficace l’indagine storico-documentale che vi è dietro, riuscendo così a colmare quel vuoto di conoscenza del reale che altri soggetti dovrebbero colmare, come il giornalismo e la scuola, senza tuttavia farlo in modo soddisfacente, spesso a causa dei limiti di libertà e di mezzi in cui soprattutto oggi incappano.
NI: Come organizzate la scrittura? Vi date dei compiti o sviluppate tutto insieme?
TR: Assieme sviluppiamo il soggetto e la scaletta del romanzo, che nascono da interminabili chiacchierate a ruota (e mente) libera. Poi ciascuno prende in carico determinate parti, in genere distribuite equamente. La scelta avviene in base a quanto ciascuno si ritiene più vicino a un certo personaggio o a una certa vicenda. Scriviamo rispettando la scaletta, tranne che per il finale, che di solito scriviamo prima. Il nostro punto di forza pensiamo sia quello che chiamiamo “palleggiamento”. Quando ciascuno ha finito di scrivere un suo capitolo, lo invia all’altro, che lo sottopone a un vero e proprio lavoro di editing, estremamente rigoroso, dopo il quale lo rimanda al mittente, che a sua volta effettua le sue contro-deduzioni. In pratica, facciamo, con risultati a volte sorprendenti, quello che normalmente uno scrittore fa soltanto dopo aver consegnato il manoscritto all’editore, nel momento in cui si confronta con l’editor della casa editrice. Piccola nota a margine: lo chiamiamo “palleggiamento” anche per il suo esito: questo farsi le pulci a vicenda ha spesso come inevitabile conseguenza, come forse puoi immaginare, il vorticoso giramento di palle dell’uno o dell’altro, e a volte anche di entrambi…
NI: Penso a un duo di scrittori noir e mi viene in mente Fruttero e Lucentini. Non vi pesa il paragone?
TR: No, non ci pesa, ci schiaccia! Non scherziamo! Lasciamo gli dei nell’Olimpo, e restiamo sulla terra. Senza ambire al loro livello, ci auguriamo di somigliare a loro almeno nell’affiatamento e nella durata del sodalizio.
NI: Come appianate eventuali divergenze creative?
TR: Ti raccontiamo un aneddoto. Stavamo scrivendo il nostro primo romanzo e una volta accadde che il “palleggiamento” di cui sopra terminò subito, perché il ricevente del capitolo, il più pignolo dei due, liquidò il lavoro dell’altro scrivendogli tre semplici parole: “È un disastro”. L’altro, il più permaloso dei due, reagì chiedendo un incontro faccia a faccia, al quale esordì con un cordiale “O lo teniamo così o vaffanculo!”. Poi il pignolo, che è anche un abile diplomatico, seppe ricucire il rapporto col permaloso, che è anche una persona estremamente ragionevole, e il romanzo fu salvo (per la cronaca, quel capitolo alla fine fu tagliato). Battute a parte, le divergenze creative, che per fortuna ci sono, vengono affrontate nell’unico modo possibile: parlandone. Spesso si appianano, ma non sempre. Ci sono parti dei nostri romanzi che non soddisfano entrambi allo stesso modo. Ma questo fa parte del gioco.
NI: Il luogo migliore per ambientare un noir?
TR: Non pensiamo ce ne sia uno in particolare. Di noir può tingersi la metropoli come la provincia, il passato come il futuro, un palazzo come il Palazzo, la storia come la Storia. L’importante è saper tingere bene. Poi, se proprio dobbiamo indicartene uno che in questo momento ci stuzzica particolarmente, eccolo: Wall Street.
NI: Vi ringrazio. Regalateci una frase noir.
TR: Siamo in due, e te ne regaliamo due. L’una: l’aria puzza di cadavere, e noi facciamo i becchini con la penna. L’altra: c’è in giro troppa merda per non raccontarne almeno un po’.